Nel genovese regno del falso, in cui il “kombinat” politica e media locali disegna realtà inesistenti per occultare le rispettive responsabilità e compiacenze nel declino in corso, spicca la collina di Erzelli. “La nostra acropoli” secondo Renzo Piano, primo ideatore del “Progetto Leonardo” per far nascere sui suoi 440 mila mq una cittadella tecnologica: parco, università e una marea di aziende innovative; con l’aggiunta di qualche abitazione al servizio degli insediamenti. E – si giurava – migliaia di nuovi posti lavoro.

Ad oggi l’archistar si è defilato (gli avevano stravolto il progetto aumentando dell’800% i volumi speculativi per villette residenziali), l’università nicchia, i tecnici denunciano l’impatto di 5 mila pendolari-giorno in assenza di collegamenti.
Intanto gli insediamenti innovativi latitano. Le imprese in campo rivelano scopi “altri” rispetto al dichiarato: Esaote, che fa capo al promotore del progetto, sale in collina se il Puc le modifica la destinazione d’uso della vecchia sede; Ericsson ha licenziato l’intero reparto ricerca appena ricevuti i finanziamenti pubblici.
Ora il governatore ligure, Claudio Burlando, sponda politica dell’operazione, propone di spostare nell’area invenduta un ospedale: in spazi che ospitavano container altamente inquinanti e mai bonificati. Questo il quadro.

Poi il 12 agosto arriva Repubblica e ci racconta tutt’altra storia; nella logica di moda secondo cui bisogna dichiarare che il peggio della crisi è ormai passato e l’orizzonte si è tinto di rosa. Secondo il quotidiano, l’ipotetico villaggio della scienza (in surplace da tre lustri) “è un pezzo d’Italia che rinasce… Genova ci prova a diventare un polo d’attrazione dei cervelli, per invertire la fuga dei talenti dall’Italia. Anzi, ci sta riuscendo”. Eppure qualche differenza tra la Silicon Valley originale – al quale la collina di Erzelli viene accostata – e quella al basilico forse si potrebbe cogliere.

Ad esempio,quando si accenna alle logiche del cosiddetto milieux d’innovazione (il paradigma tecnoeconomico impostosi nelle realtà più innovative: “l’esperimento ha bisogno di un’alleanza solida tra pubblico e privato, che la ricerca scientifica deve dialogare con il mondo dell’impresa”), un osservatore avveduto potrebbe scorgere le differenze tra le esperienze made in Usa e i giochi illusionistici sotto la Lanterna: qui c’è una università che si colloca per qualità complessiva nelle posizioni di coda nei ranking internazionali, un ceto politico che ha come punto di riferimento il ben noto Claudio Burlando, imprese partner che aderiscono solo in quanto interessate a far finanza, pressoché assenza di iniziative nascenti (cosiddetti start up).

Una facciata dietro cui si nascondono interessi di ben altro tipo, e che restano “coperti” grazie alla vera eccellenza messa insieme dai promotori (tra cui spicca l’altro soggetto scientifico locale – l’Istituto Italiano delle Tecnologie – che strippa di quattrini, grazie ai 100 milioni di finanziamenti che riceve annualmente dallo Stato; e che ad oggi non rende al territorio sotto forma di fertilizzazione d’impresa).

La vera eccellenza – difatti – è l’ufficio Pubbliche Relazioni, formidabile nel promuovere la bella favola dell’incubatore innovativo che starebbe nascendo in collina. Impareggiabile nello stendere veli hi-tech sui veri intenti dell’operazione; che, come è diventata una costante nel nostro Paese, hanno a che fare con l’affarismo.

Lo si leggeva tra le righe nel commento di Umberto La Rocca, direttore del Secolo XIX e non propriamente nemico dell’establishment: “Finora con Erzelli hanno fatto buoni affari Aldo Spinelli, che ha venduto bene le aree che possedeva; Carlo Castellano che, grazie a un provvidenziale cambio di destinazione d’uso dell’area sulla quale sorge il vecchio stabi limento di Esaote, potrà cederlo con soddisfazione; le Coop, che probabilmente lo acquisteranno e in quell’area potranno aprire il supermercato che volevano a Sestri; e buoni affari farà anche Ericsson”.

 Tanto per dire, il precedente proprietario di Erzelli era il terminalista, amico e sponsor di Burlando, Aldo Spinelli, ex presidente del Genoa cfc ora patron del Livorno calcio, il quale comprò l’area nel 1998 per 8 miliardi di lire e la rivendette nel 2006 a Genova Hi Tech per 35 milioni di euro; si noti bene: otto volte tanto: grazie amici!

 Ma la vera polpa dell’affare ancora resta nella penombra: lo straordinario patrimonio immobiliare della Facoltà di Ingegneria (la villa rinascimentale circondata da un parco che le fa da sede e una serie di palazzine; il tutto ubicato nel quartiere d’Albaro, i Parioli di Genova). Con l’attuale crollo del valore dei fabbricati ad uso abitativo, liquidizzare oggi tale stock mettendolo in vendita si tradurrà inevitabilmente in una spoliazione per la tesoreria dell’Università; al tempo stesso, diventerà un affare milionario per l’acquirente a scopo di rivendita “a spezzatino”. Magari servendosi nell’acquisto di qualche prestanome.

Il Fatto Quotidiano, 22 Agosto 2013

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