Per alcuni Paesi con una situazione economica parecchio fragile una crisi di governo è decisamente un lusso. È quello che è successo la scorsa settimana in Portogallo, quando Paulo Portas, ministro degli Esteri e leader del partito minore della coalizione di centrodestra, ha deciso all’improvviso di dare le sue “irrevocabili” dimissioni. L’ha fatto 24 ore dopo che il ministro delle Finanze, Vitor Gaspar, si alzasse dal tavolo e uscisse dall’esecutivo sbattendo la porta. Il gesto di Gaspar, che già da ottobre faceva intendere un suo ritiro dietro le quinte, era più o meno inevitabile. Ma quello di Portas no.

Lisbona ha tremato, la Borsa è crollata, in un solo giorno, tanto quanto era precipitata il giorno del default di Lehman Brothers, nel settembre 2008. Gli interessi sui titoli di Stato a dieci anni sono schizzati ed è tornato lo spettro di un secondo salvataggio, proprio mentre l’agenzia di rating Standard & Poor’s declassava il rating del Paese a BB, ossia negativo. Solo il settimanale portoghese Sábado ha avuto il coraggio di scriverlo in copertina: “Ecco come i bisticci e gli intrighi tra Passos Coelho e Portas possono portarci ai livelli della Grecia“.

Oggi il governo lusitano si presenta alla riunione dell’Eurogruppo con una crisi in apparenza superata e una promessa di stabilità. Il primo ministro conservatore Passos Coelho è apparso sugli schermi televisivi sabato sera per assicurare al Paese, ma anche all’Europa e agli investitori, che il nuovo governo di coalizione sarà solido e durerà fino a fine legislatura, nel 2015. Alla sua destra il dimissionario Paulo Portas con aria soddisfatta: da ministro degli Esteri passa a vicepremier con pieni poteri sulle politiche economiche e sui rapporti con il triunvirato europeo (Ue, Bce, Fmi). Insomma un gradino in più di Maria Luisa Albuquerque, chiamata a ricoprire la carica di ministro delle Finanze lasciata vuota da Gaspar. Portas l’aveva considerata una scelta di continuità alle ricette economiche che finora ha messo in pratica il Portogallo, basate sull’austerità a ogni costo, tagli alla spesa pubblica e sull’accettazione passiva delle condizioni imposte dalla troika. E anche per questo aveva rassegnato le dimissioni.

Sono servite cinque riunioni private, l’intervento del presidente della Repubblica Cavaco Silva e le nefaste ripercussioni sui mercati finanziari a mettere fine al vuoto di potere. Almeno sulla carta. Secondo fonti interne i due, premier e neo vicepremier si parlano poco. Portas ha sempre accusato Passos Coelho di scarsa considerazione e di aver dovuto ingoiare molte sgradite decisioni, soprattutto sul rigore dei bilanci. Per l’opposizione tanto basta: sfiducia l’esecutivo che, a suo parere, ne è uscito indebolito, screditato e fragile di fronte alla crisi economica che non dà tregua. E chiede a gran voce elezioni anticipate per chiarire la situazione, come hanno fatto le migliaia di persone scese in piazza sabato, quando il capo dello Stato incontrava per l’ennesima volta il primo ministro e Paulo Portas con l’intenzione di mediare.

Insomma nessuno, forse nemmeno i diretti interessati, scommettono molto sulla durata di questo accordo a tavolino. Tanto più che, secondo il quotidiano spagnolo El País, Bruxelles sta già negoziando con Lisbona una “linea di credito precauzionale” dell’Esm (Meccanismo europeo di stabilità): un salvataggio “morbido” che funzioni come misura preventiva per assicurarsi che l’uscita dal memorandum, nel maggio 2014, non sia sofferta. Secondo le due alte cariche europee intervistate dal corrispondente spagnolo a Bruxelles, il Portogallo infatti mostra chiari segni di fatica e la cura dell’austerità non dà i risultati sperati.

Il Paese, considerato da sempre il primo della classe, non sembra infatti riuscire a rialzarsi davvero. Con un tasso di disoccupazione in aumento – attorno al 20 per cento – quattro degli ultimi cinque anni in recessione, incluso il 2013, e un debito pubblico del 120 per cento sul Pil, il malessere dei cittadini in merito al programma imposto dalla troika aumenta. I sindacati pochi giorni fa hanno convocato uno sciopero generale, il quarto sotto l’esecutivo conservatore, per mettere un freno all’ennesima riforma, che stavolta vuole facilitare i licenziamenti nel settore pubblico. Intanto, lunedì prossimo, il 15 luglio, arriveranno gli uomini in nero in vista dell’ottava valutazione del piano di aggiustamento. Senza quei soldi tutto crolla. Ma per averli occorrerà tagliare, ancora una volta.

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