Un uomo di 39 anni alto quasi due metri. Grande e grosso, con un martello infilato nella cintura dei pantaloni. Si chiama Fabio Tozzo. Alle 10 di un lunedì mattina, si avvicina piano alla stazione di Palermo, è quasi sotto i portici, di fronte alla fermata della 101. Intorno a lui decine di persone, studenti, anziani, donne, bambini. Fabio Tozzo si incammina lentamente sotto il porticato, ha tutto il tempo di scegliere le sue vittime. Una coppia di pensionati. Marianna Ruvolo e Antonino Raccuglia.

Aumenta la velocità, scavalca un passeggino spinto da una giovane madre, estrae il martello e colpisce. Una, due, tre, quattro volte, sulle teste di Marianna e Antonino, che cadono a terra privi di sensi. Fabio Tozzo si guarda in giro, le persone intorno a lui sono ammutolite e sgomente, pietrificate. Si guarda in giro e scappa.

Nessuno si muove, se non due ragazzi, uno di 18 anni e l’altro di 25, per corrergli dietro. Lui è grande e grosso, ma non è troppo veloce. In pochi secondi lo agguantano e lo stendono. Tengono Fabio Tozzo fermo a terra, mentre qualcuno chiama la polizia. Tutti i passanti, immobili, scoppiano in un applauso. Dopo due minuti gli agenti della Polfer, la polizia ferroviaria, sono sul posto, e ammanettano il folle martellatore.

La prima cosa che gli chiedono è perché l’abbia fatto. La sua risposta è: “Volevo installare il digitale terrestre”.

I due ragazzi che hanno fermato Fabio Tozzo vengono ringraziati dagli agenti, tra le strette di mano, le pacche sulle spalle e i segni di assenso dei presenti. Poi identificati. Non hanno i documenti. Sono clandestini. Neri come il carbone e illegali. Nigeriani. John Paul e Kennedy Anetor. Grandi e grossi anche loro, ma asciutti, due fisici perfetti. I poliziotti li ringraziano nuovamente, e propongono alla Questura il rilascio di un permesso di soggiorno di un anno. Che viene rilasciato.

Questa storia è avvenuta a Palermo quattro anni fa, a maggio del 2009. E non l’ho riportata certo per fare una scarna e macabra cronologia di cronaca nera o per una sorta di nemesi pregressa del folle gesto accaduto qualche giorno fa a Niguarda, periferia nord di Milano.

Ma forse soltanto per raccontare che la follia non ha colore, così come il coraggio.  

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