Le elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 hanno messo a nudo in maniera irreversibile la crisi del centrosinistra italiano, una crisi che ha radici lontane, databili nei primi anni Sessanta, quando maturò la prima esperienza di centrosinistra accompagnata dalla particolare esperienza politica di “Comunità” – un laboratorio straordinario di progettualità e innovazione costruito da Adriano Olivetti. Un laboratorio non adeguatamente messo a fuoco dalla classe dirigente di quegli anni che consunse in un’impasse la prospettiva dello stesso centrosinistra. Oggi le forze politico-culturali più avvertite tornano a parlarne, da Salvatore Settis, che, nella recensione alla ristampa del volume del 1959 di Olivetti, Il cammino della comunità, apparsa all’interno del supplemento culturale del Sole 24 ore di domenica 5 maggio 2013, parla di “Democrazia molecolare ”, fino a Stefano Rodotà, che si riferisce a dimensioni di “comunitarismo radicale”. E’ come se ci fosse un parallelismo stretto tra le prospettive aperte nei primi anni Sessanta e quelle precedenti e immediatamente successive alle politiche del 2013; in entrambi i casi al preannuncio di un profondo cambiamento è seguita una fase di progressiva consunzione di quelle energie propulsive.

In un bel libro di amplissimo spettro, Avevamo la luna. L’Italia del miracolo sfiorato vista cinquant’anni dopo (Donzelli 1013), Michele Mezza pone con la dovuta radicalità il problema del fallimento – quello degli anni Sessanta e questo immediatamente contemporaneo – individuandone le ragioni nella mancata valorizzazione della innovazione, ieri dell’esperienza informatica di “Comunità”, oggi del web.

Michele Mezza, assumendo una posizione diametralmente inversa a quelli che possono essere definiti i trotskisti della rete – si veda il caso esemplare del bielorusso Evgeni Morozov (L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet, Codice Edizioni, Torino 2011) – ossia di coloro che considerano la rete come fattore di crisi della democrazia e, in particolare, di quella partecipativa, ricostruisce un itinerario speculativo tutto italiano, speculare a quello prospettato da Roberto Esposito nel suo Pensiero vivente. Origine attualità della filosofia italiana (Einaudi, Torino 2011). Un percorso che, a partire da Pico della Mirandola, Niccolò Machiavelli, Giordano Bruno, ha avuto il merito di cogliere ante litteram il valore antifondamentalista della configurazione reticolare. Si pensi, per esempio, a un contesto delle Opere magiche di Bruno come il seguente: “nell’infinito spazio possiamo definire centro tutti i punti o nessun punto: per questo lo definiamo sfera, il cui centro è ovunque”, dove è molto trasparente un’analogia con la rete e con la sua capacità di indebolire le gerarchie verticali del potere e del sapere.

Infine, un altro autore della tradizione italiana, in questo caso un contemporaneo, Antonio Negri, che, nel terzo volume della sua trilogia, Comune: oltre il privato e il pubblico, individua due aspetti assolutamente sconvolgenti per la scolastica della sinistra, ossia, in primo luogo, la prevalenza dei fattori immateriali su quelli materiali nelle nuove produzioni industriali e, in secondo luogo, in modo ancora più significativo, l’inversione di oggetto e soggetto del fattore lavoro. A tale proposito – chiosa con estremo acume in proposito Michele Mezza – “Nella nuova geometria produttiva del social network il produttore diventa un agente negoziale che contende, in condizioni pressoché paritarie, all’impresa, il primato e la titolarità del prodotto” (p. 127).

Non si possono non raccogliere le suggestioni culturali e politiche che emergono in profondità dal libro di Mezza, nell’auspicio di una nuova sinistra finalmente consapevole dell’innovazione radicale prospettata dal web, una sinistra nel segno di un rinnovato cosmopolitismo contrassegnato dalla rete, che riesca a governare un’epoca quanto mai controversa e complessa come quella che stiamo vivendo.

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