“Prima vomitano i commenti sul blog e poi li rivomitano nelle televisioni”. Beppe Grillo non gradisce che i giornalisti leggano nei commenti al suo blog una frattura nell’elettorato del MoVimento 5 stelle, quelli favorevoli a un accordo con il Pd e quelli contrari a ogni alleanza. E il leader denuncia quindi in un durissimo post che “da mesi orde di trolls, di fake, di multinick scrivono con regolarità dai due ai tremila commenti al giorno sul blog. Qualcuno evidentemente li paga per spammare dalla mattina alla sera”.

 Non bisogna fidarsi, insomma, di quello che si legge nei commenti al blog: è tutto pilotato, una cyber guerra per indebolire il Movimento coprendolo di “schizzi di merda digitali”. Che Grillo cataloga in alcune categorie: gli “appellanti per la governabilità del Paese”, poi i “divisori venuti per separare ciò che per loro è oscenamente unito, che chiedono a Grillo di mollare Casaleggio, al M5S di mollare Grillo e a tutti gli elettori del M5S di mollare il M5S per passare al sol dell’avvenire delle notti polari del pdmenoelle”

 E infine quelli che paiono essere i più detestabili, nella lista nera di Grillo: “i cosiddetti “ex””. Quelli che “Grillo ti ho votato ma dopo che sei passato con il rosso con sprezzo delle istituzioni non ti voto più”, oppure “Beppe, ti ho seguito dal primo Vday, ma il tuo autista, si legge in giro, è un narcotrafficante. Addio al mio voto”. Oltre, ovviamente ai “critici di giornata che arrivano in massa come le locuste”, pronti a commentare e stroncare le dichiarazioni e le prese di posizione del Movimento e fel suo leader.

 Quello che Grillo proprio non tollera è l’uso che i media fanno dei commenti del blog: “Da questa brodaglia i telegiornali e i talk show colgono fior da fiore, con lerci e studiati “copia e incolla” per spiegare che Grillo è un eversivo, che il MoVimento 5 Stelle è spaccato”. E invece, ricorda il leader, “dato che nel blog chiunque può commentare questo non vuol dire nulla”.

 Che però le tensioni sui rapporti con il Pd e con gli altri partiti non siano solo argomento per “schizzi di merda digitali”, lo dimostra il post molto più politico che Grillo ha pubblicato in mattinata, dedicato a Pietro Grasso (“l’unico procuratore antimafia stimato da Berlusconi”) e Laura Boldrini, dal titolo “Nominati e rinominati”, per chiarire che il M5s non appoggerà alcun governo. E per stroncare sul nascere il tentativo di Pier Luigi Bersani e del Pd di trovare un accordo informale con il Movimento almeno sul programma, sperando così se non in una fiducia almeno in una astensione per far partire l’esecutivo.

Il leader 5 stelle, dal blog, spara contro i due presidenti delle Camere, Laura Boldrini e Pietro Grasso indicati in questi giorni come l’esempio più concreto di quel rinnovamento che il Movimento 5 stelle può favorire nelle istituzioni.

Secondo Grillo Boldrini e Grasso “sono celebrati dai giornaloni e dai partiti come le effigi del cambiamento, il segno del rinnovamento, l’espressione della società civile (dando così implicitamente per scontato la società civile non sia mai stata rappresentata). In realtà sono la più moderna manifestazione della partitocrazia”.

Se il termine partitocrazia evoca un po’ troppo dibattiti da Prima Repubblica (Marco Pannella lo usa dagli anni Settanta), Grillo ne ha anche la sua versione 2.0 “foglie di fico”, cioè “brave persone accuratamente selezionate per coprire personaggi che sanno benissimo di essere impresentabili, ma che in questo modo continuano a sopravvivere”.

La colpa principale, secondo Grillo, è che “né la Boldrini né Grasso hanno partecipato alle Buffonarie del pdmenoelle, ma sono stati nominati e inseriti nelle liste direttamente dai rispettivi capi Vendola e Bersani”. Cioè eletti nel listino bloccato (invece i parlamentari del Movimento 5 Stelle sono stati tutti eletti con primarie on line anche se molto chiuse, limitate soltanto a 30mila iscritti, una minuscola frazione degli 8,5 milioni di elettori che poi hanno votato Grillo).

Grillo sottolinea che “né la Boldrini né Grasso sono stati democraticamente scelti per il loro attuale ruolo istituzionale attraverso votazione del gruppo parlamentare di appartenenza, come avvenuto per i candidati presidenti del M5S, ma ri-nominati da Bersani”. Per la verità c’è stato un voto in aula ma, sostiene Grillo, questo non basta perché la decisione vera era già stata presa dal vertice del partito: “Nella democrazia bersaniana non servono votazioni, basta nominare le “persone giuste” e farle ratificare dall’assemblea per acclamazione. Porcellum style. ‘L’assemblea ha accolto la proposta con degli applausi all’annuncio dei nomi’. Togliattiane reminiscenze”. Replica della Boldrini nel pomeriggio: “Considerazioni fuori luogo, parla la mia storia”.

Il dibattito assume però toni sempre più vintage, prima le accuse di leninismo da parte di Bersani (“Il M5s fa riunioni chiuse e poi vuole lo streaming quando va dal capo dello Stato, secondo un antico e conosciuto leninismo”, ha detto un paio di giorni di fa). E ora l’ex comico replica a tono, con l’accusa di togliattismo. E Silvio Berlusconi, che nella manifestazione di ieri ha ripescato la solita minaccia comunista, è ben contento che il dibattito assuma questo colore rosso scuro.

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