Con Monti abbiamo affrontato l’emergenza economica. Adesso dobbiamo affrontare quella politica. Dopotutto il declino dell’economia italiana è legato al fallimento di un’intera classe dirigente. E’ possibile cominciare a farlo anche con questo Parlamento.
di  e lavoce.info, 27 Febbraio 2013

Il ritorno di Berlusconi

Nanni Moretti aveva predetto nei giorni scorsi che questa settimana gli italiani avrebbero festeggiato la liberazione, avrebbero finalmente finito di essere ostaggio degli interessi di uno solo di loro, Silvio Berlusconi. Nanni Moretti è un regista di eccezionale sensibilità e quella sensibilità gli ha permesso in Habemus Papam di vedere, al di là dei rituali vaticani, la fragilità del Papa, troppo spesso dimenticata. Ma Moretti non è stato altrettanto bravo a intuire le motivazioni del voto degli italiani. Silvio Berlusconi, che era praticamente sconfitto solo un mese fa, è tornato e il suo ritorno – forse il più importante evento politico dell’anno in Europa – corre sulle ali della promessa di abolire l’Imu, la tassa sulle proprietà immobiliari reintrodotta dal governo di Mario Monti. I pensionati italiani hanno spesso case di proprietà di un certo valore, ma hanno problemi di liquidità e non possono vendere la casa nel mezzo di una grave crisi immobiliare. Questo li porta ad odiare le tasse sulla casa. Berlusconi è andato anche oltre: ha promesso di restituire i 4 miliardi dell’imposta già pagati nel 2012, di tasca sua se necessario (il suo patrimonio è valutato sui 5,5 miliardi). Di fatto, ha promesso di fare da banca per gli italiani – proprio quello che manca in questo momento, visto che lo scorso anno il credito delle banche alle famiglie è calato di circa 2 miliardi.

L’incognita di Grillo

Ma la conseguenza del suo successo – ed è anche la ragione per cui il ritorno di Berlusconi è così importante – è l’impasse politica. In Italia i due rami del Parlamento hanno identici poteri. Alla Camera il premio di maggioranza ha permesso a Pier Luigi Bersani di ottenere la maggioranza dei seggi, ma al Senato la vittoria di Berlusconi rappresenta un problema. Il numero di voti ottenuti del Pdl ha impedito a Mario Monti di raggiungere una quota di seggi sufficiente a garantire una maggioranza a una eventuale coalizione con il centrosinistra. Peraltro, è ormai difficile immaginare una coalizione senza i 54 senatori del Movimento 5 Stelle.
Beppe Grillo può essere determinante sia per una maggioranza di centrosinistra che per una maggioranza di centrodestra, ma per il momento non abbiamo idea di quali saranno le sue scelte. Alcuni senatori grillini potrebbero passare al Pdl: se rimangono con Grillo dovranno rinunciare a metà della loro indennità parlamentare a favore del Movimento. E dunque il passaggio o meno ad altre formazioni politiche dipenderà dai loro valori etici. Ma c’è anche un’altra incognita: tutti i senatori 5 Stelle sono neo-parlamentari. Più in generale abbiamo un Parlamento grandemente rinnovato il che è una buona cosa dato il fallimento della classe politica uscente, ma apre anche molte incognite.

Chi ha perso

Quello che invece è sicuro è che il grande perdente di queste elezioni è Mario Monti. La formazione del presidente del Consiglio uscente ambiva a essere il secondo partito italiano dopo il Pd, invece è arrivato appena quarto, con un deludente 10 per cento dei voti e solo ventidue senatori – troppo pochi per poter garantire una maggioranza a Bersani. La salita in campo di Monti è stata motivata del desiderio di creare una coalizione aperta a tutti coloro che si dichiarassero disponibili ad aderire a un programma di riforme. Monti avrebbe voluto così consolidare le azioni del governo tecnico. Tuttavia, non ha ottenuto abbastanza voti per riuscirci, probabilmente perché agli occhi degli elettori i sacrifici imposti dal suo Governo sono tangibili, mentre i benefici tardano a manifestarsi. Del resto la funzione del suo governo era proprio quella di fare scelte impopolari senza ansie di rielezione.

Vie d’uscita?

E tuttavia, l’esito potrebbe essere simile: una grande coalizione guidata non da Bersani né da Berlusconi, ma da un simil-Monti – non necessariamente da Mario Monti in persona – e con un obiettivo meno ambizioso: preparare il paese per le prossime elezioni, si spera con una nuova legge elettorale. Il nuovo governo dovrebbe far fronte alla crisi della politica, il cui fallimento spiega il successo di Beppe Grillo. Dovrebbe raccogliere la proposta del Movimento 5 Stelle di dimezzare lo stipendio e il numero dei parlamentari. In fondo, i gravi problemi economici dell’Italia possono essere affrontati solo attraverso una riforma del meccanismo di selezione della classe dirigente, prima responsabile dei fallimenti economici del paese. Dovrebbe anche ridurre l’autoreferenzialità delle Regioni cui il federalismo della Lega ha concesso troppa discrezionalità nel definire compensi di una classe politica troppo poco sotto i riflettori, poco accountable di fronte agli elettori. Sarebbe anche questa una riforma che riduce i costi della politica.

Un pò di tempo, ma non molto

Fortunatamente, la gestione del debito pubblico da parte del Tesoro ha permesso di guadagnare tempo, visto che abbiamo già rifinanziato un quarto di quello in scadenza quest’anno.
Nel frattempo, il nuovo Parlamento dovrà eleggere un nuovo presidente della Repubblica: grazie al premio di maggioranza ottenuto alla Camera sarà il Pd a decidere il successore di Giorgio Napolitano. Speriamo che il nuovo presidente sia saggio e capace quanto il suo predecessore, e che riesca, come è riuscito Napolitano, a rassicurare i mercati e i partner europei sulla capacità dell’Italia di trovare una via d’uscita alla lunga transizione verso una maggiore stabilità politica e un maggiore realismo.

*Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata oggi sul Financial Times.

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