E così ci siamo arrivati; paese virtualmente ingovernabile, usuale processione in televisione di “quasi” vincenti o perdenti  – ma con merito – nessun segnale di volontà di cambiamenti radicali da fare in tempo utile per dare a chi dovrà votare nuovamente tra breve un motivo per credere che chi ha la professionalità, le strutture e la cultura politica per governare sia diventato credibile in termini di volontà di innovare profondamente.

Nell’immediato diamo bonariamente la giustificazione dello shock a chi non aveva per tempo annusato l’aria dell’uragano che stava per abbattersi anche se non era difficile intuirlo; politici e professori che non sono riusciti non già a capire, ma neppure a intuire da lontano che promettere tagli ineluttabili alle strutture dello Stato e poi neppure pensare di farli – vedi province o taglio del numero dei parlamentari – martellare di tasse innescando una recessione più che pericolosa, dare dimostrazione di debolezza in Europa palesando l’incapacità di porsi come interlocutori fermi con le altre nazioni, rimanere attaccati a benefici ingiovibili, neppure sfiorare i costi della politica, mungere i soliti noti, creare problemi come quello degli esodati fregandosene di trovare soluzioni celeri, non innescasse una protesta che grazie a Dio per ora si è materializzata solo nelle urne.

Quando la società va allo sfascio mentre politici e tecnici fanno professione di gran fiducia in un futuro migliore a fronte di una situazione che peggiora quotidianamente, i disoccupati, gli esodati, coloro che sentono di essere spinti ai margini, non hanno vie di pensiero possibili diverse dal concludere che se devono soccombere, tanto vale sfasciare tutto. Ciò forse è difficile da comprendere da parte dell’elite, che non percepisce l’insicurezza della gente standosene bene ancorata nelle proprie certezze soprattutto economiche, ma tutto indica che neppure i politici che dovrebbero essere abituati a sentire meglio il polso del paese hanno capito niente e il peggio è che sembrano tristemente – per loro e per noi – avviati a perpetrare modi di fare politica che le elezioni di domenica indicano siano da cancellare per sempre.

Certo, senza il testardo “salire” in politica di Monti, sospinto dalla sua elite di riferimento, forse una delle due parti avrebbe prevalso a fatica e formato un governo debole, ma ciò avrebbe solo rimandato il “redde rationem”, perché se i politici e i tecnici che sono stati prese a calci dagli elettori come è successo domenica ancora si riempiono di parole come: “premiato il populismo” o, peggio: “siamo contenti del nostro risultato, date le premesse”, crediamo davvero che se vincenti di misura avrebbero deciso di dare un taglio ai modi di “sgovernare” province, regioni e stato, di intersecarsi con le banche, di nutrire lobbies, di premiare i centri di potere nel preparare le liste elettorali e di restare incollati ai loro privilegi?

Chi ancora potesse crederci sarebbe al di la del bene e del male.

Abbiamo di fronte due alternative: la prima è che le forze politiche organizzate continuino imperterrite a perseguire i loro obiettivi ormai completamente divergenti con larga parte del paese; è una via facile; non importa essere creativi, basta continuare nel solco del passato; la seconda è che i “grandi padri” si facciano da parte, subito, che rinuncino a esercitare mai più in politica e che si ritaglino un ruolo di “consiglieri”. Andandosene devono portarsi dietro la gran parte degli apparati delle loro organizzazioni e soprattutto anche tutti i politici di lungo corso che da decenni imperversano a livello locale e devono sperare – per loro e per noi – che  persone nuove siano disposte a sostituirle prendendo in spalla il fardello.

Credo che questa sia l’ultima chiamata; la prossima fermata è il cimitero; quello economico, dato che lo spread non ci perdonerà l’ipotesi che la nostra classe politica cerchia ancora di vivacchiare e quello civile, dato che l’assenza di ricambio ci soffocherà.

I politici di lungo corso devono questa rinuncia operosa alla nazione ma anche a loro stessi, a meno che non si illudano di sopravvivere con benefici intonsi in una società che crolla.

Il segnale positivo potrebbe essere dato invece da politici responsabili che dichiarino che utilizzeranno i prossimi dodici mesi per fare le riforme istituzionali urgenti – riforma del sistema elettorale, taglio della struttura di rappresentanza, abolizione di gran parte dei propri benefici, eliminazione dei rami secchi, leggi che prevengano le commistioni di finanza e politica – dando segnali che i sacrifici li facciamo tutti, ma proprio tutti, ma soprattutto per incoraggiare e aiutare cittadini oggi anonimi a entrare in politica con spirito nuovo, per sostituirli.

E’ una linea che richiede coraggio e spirito di sacrificio, cioè proprio ciò che distingue i leader da coloro che vivacchiano.

Sono convintissimo che a fronte di una ventata di novità di questo genere ci sarebbero molti cittadini disposti a coinvolgersi ed esporsi in un progetto a medio termine e che anche l’Europa e la finanza internazionale comprenderebbero che l’Italia ha veramente deciso di voltare pagina e forse ci concederebbero un po’ di credito.

Vediamo se questa utopia, questo sogno a occhi aperti ha qualche possibilità di realizzarsi; lo capiremo subito, nei prossimi giorni.

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