Un importante precedente giuridico, grazie al quale potrebbe essere scongiurata l’eventuale chiusura – già paventata in estate – di tutte le piccole strutture ospedaliere, presenti sul territorio italiano. Il caso destinato a far da apripista ad una serie di ricorsi, da parte di quei tanti piccoli centri che potrebbero vedersi chiudere i loro ospedali, è quello di Tagliacozzo (in provincia dell’Aquila).

Nel 2010 il presidente della Regione Abruzzo e commissario ad acta per la Sanità, Gianni Chiodi, predispone un nuovo “programma operativo” per ristrutturare la sanità abruzzese. In altre parole, tentare di rientrare da un debito di 360 milioni di euro, accumulato negli ultimi dieci anni. E questo significa altri tagli – in aggiunta a quelli effettuati già in passato dalla precedente giunta, guidata da Ottaviano Del Turco –, a partire dalle “strutture ospedaliere che non risultano coerenti, sotto un profilo sia quantitativo sia qualitativo, con il fabbisogno di prestazioni della popolazione”. Tra queste rientra anche l’ospedale del comune di Tagliacozzo, che serve un bacino di circa 30mila persone (frazioni e paesini limitrofi compresi). Non tantissime.

Ma, se si considera il notevole afflusso turistico nel periodo estivo e soprattutto il fatto che quello è l’ospedale di riferimento di una zona montuosa mal collegata con il resto della regione, l’esistenza dell’Umberto I diventa essenziale. E così gli abitanti del territorio, supportati dall’amministrazione comunale, si organizzano immediatamente in un comitato per salvare la struttura.

Iniziano presidi e manifestazioni di protesta, ma la posizione del governatore Chiodi è inamovibile: “Il piano non si tocca” e poco importa se i cittadini dissentono. Loro però vanno avanti e insieme al Comune presentano ricorso al Tar dell’Abruzzo. A dicembre del 2010 arriva il primo importante risultato: il Tar sospende la “deliberazione per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo”.

Incoraggiati in qualche modo dalla (prima) vittoria ottenuta da Tagliacozzo, decidono di ricorrere al tribunale amministrativo anche gli altri piccoli comuni abruzzesi, che hanno visto la scure dei tagli regionali abbattersi pure sui loro nosocomi. Nei mesi successivi i pronunciamenti contro il piano Chiodi arrivano uno dopo l’altro. Le principali motivazioni sono due: nel tentativo di risanare i conti, il “programma operativo 2010” non tiene in considerazione il diritto della salute dei cittadini. L’altra motivazione mette invece in discussione il ruolo stesso del commissario, nominato per esercitare poteri amministrativi e non legislativi-normativi. Perciò il nuovo piano sanitario non può sostituire quello del 2008, approvato – al contrario del piano Chiodi – con legge regionale.

Vendendosi bloccato, Chiodi tenta di correre ai ripari e si rivolge direttamente al Governo. In pochi mesi da Roma arriva la soluzione per mettere in cassaforte – e quindi al riparo da ricorsi – il programma di tagli del commissario-governatore. Nonostante le varie bocciature arrivate dal Tar, il superministro Giulio Tremonti inserisce infatti il controverso “programma operativo della sanità abruzzese” nel decreto 98 del 2011, concernente la stabilizzazione finanziaria, che dopo pochi giorni viene convertito in legge. “Il Commissario ad acta per la sanità della regione Abruzzo – si legge nella manovra approvata a luglio 2011– dà esecuzione al programma operativo 2010 che è approvato con il presente decreto”.

Gli stop del Tar sono superati e adesso il piano sanità di Chiodi è una legge di stato. Ma i comitati non si arrendono. Ricorrono nuovamente al Tar, stavolta contro quell’articolo, contenuto nella manovra di Tremonti, che “sana” i provvedimenti in materia di sanità presi da Chiodi. E vincono, un’altra volta: per il giudice amministrativo abruzzese, la norma del governo si pone in contrasto con ben sette articoli della Costituzione nonché con la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo. Gli atti quindi passano alla Consulta, che dovrà decidere sull’incostituzionalità della legge.

Nel frattempo però la Regione Abruzzo ha adottato un nuovo atto aziendale (relativo alla Asl Avezzano-Sulmona-L’Aquila) che riguarda “i provvedimenti tecnici attuativi per la razionalizzazione della rete ospedaliera”, contenuti in quel famoso programma operativo 2010: il nosocomio di Tagliacozzo è trasformato in un presidio territoriale di assistenza, privo persino di pronto soccorso. Il braccio di ferro continua e il comitato pro-ospedale presenta l’ennesimo ricorso al Tar, che dà loro ragione anche questa volta. “E’ necessario assicurare la piena funzionalità del pronto soccorso dell’ospedale”, si legge nell’ordinanza pronunciata dal tribunale amministrativo lo scorso maggio.

La Regione Abruzzo non si dà per vinta e propone appello davanti al Consiglio di Stato. Per il supremo organo di giustizia amministrativa non è però “ravvisabile alcuna ragione” per l’annullamento dell’ordinanza del Tar. Ospedale e pronto soccorso rimangono dunque aperti. “E’ un’ordinanza storica quella arrivata poche settimane fa– afferma il legale del comitato pro ospedale, Paolo Novella, contattato da ilfattoquotidiano.it – Anche perché visto che c’è ancora in pendenza la questione di incostituzionalità, per evitare dei conflitti solitamente si aspetta il parere della Corte Costituzionale. E invece sia il Tar che il Consiglio di Stato non hanno indugiato a pronunciarsi”.

Ma soprattutto è un’ordinanza che costituisce un principio giurisprudenziale, al quale potrebbe rifarsi qualsiasi altro ospedale – di qualsiasi altra regione – che rischia la chiusura. Come ad esempio i tanti nosocomi calabresi. Non sembrerebbe un caso che nei giorni scorsi la Presidenza della Regione Calabria abbia contattato l’avvocato Novella, per aver informazioni dettagliate in merito al provvedimento. “Presumo che se, come qui, stanno portando avanti una politica di tagli – fa notare l’avvocato Novella – cercheranno di capire perché è stata bocciata la delibera di Chiodi, per poi riscriverne una diversa che non rischi la bocciatura”. Insomma meglio giocare di anticipo.

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