Ho subito firmato la petizione del Fatto Quotidiano in difesa dei magistrati di Palermo e Caltanissetta isolati e aggrediti, e vorrei fare un applauso al vostro giornale per questa bella iniziativa. Ma soprattutto alle decine di migliaia di persone che l’hanno subito appoggiata: segno che molti italiani non si sono lasciati imprigionare la testa dall’afa ferragostana e dall’ossessione dello spread”. Andrea Camilleri si riposa, come sempre lavorando, al fresco di un piccolo paese sul monte Amiata. La sua voce roca ma pimpante, al telefono, spiega al Fatto le ragioni e le speranze della sua adesione all’appello per i magistrati che indagano sulle trattative Stato-mafia.

Perché ha firmato?

Perché mai come ora e mai come su questa vergogna nazionale della trattativa o delle trattative fra pezzi dello Stato e capi della mafia, abbiamo bisogno di verità. Questa valanga di firme mi pare il sistema migliore, insieme alle indagini dei magistrati, per snidare gli amici della mafia di ieri, di oggi e di domani.

Le pare di conoscerli?

E certo, mi pare di conoscerli: anche perché la politica italiana non cambia mai, sono sempre le stesse facce, e dunque è molto verosimile che chi vent’anni fa trattò con Cosa Nostra sia ancora al potere. O forse se n’è andato qualcuno e mi sono perso qualcosa?

Quale risultato spera di ottenere, con la sua firma?

Intanto che chi indaga venga lasciato libero di farlo, senza ostacoli, senza attacchi e senza procedimenti disciplinari o manovre sotterranee. E poi mi è piaciuta molto l’intervista di Claudio Martelli al Fatto. Martelli ha ragione: Ingroia non deve andarsene in Guatemala, deve restare a Palermo. La sua partenza per il Centroamerica sarebbe una sconfitta per la democrazia e per la verità. Cioè per tutti noi.

Non crede che, dopo vent’anni di indagini e di processi ad alto rischio e di attacchi e insulti continui dai massimi vertici della politica, abbia diritto a essersi stufato e a voler cambiare aria per un po’?

Ma certo, è più che comprensibile: chiunque al posto suo, dopo avere indagato su mafia e politica con quella serietà, quell’onestà, quella correttezza e quella dignità e averne ricevuto in cambio quei trattamenti, sognerebbe di andarsene non in Guatemala, ma molto più lontano. Però io lo invito a ripensarci: Palermo, la Sicilia, l’Italia hanno più che mai bisogno di magistrati come lui per cercare la verità. Soprattutto ora che la verità è così vicina.

Forse sarebbe meglio che glielo dicessero i rappresentanti delle istituzioni e della politica, che invece sembrano quasi tutti ben felici di vederlo partire.

Eh certo, sarebbe bello, ma non facciamo gli ingenui: siccome chi ha trattato con la mafia è ancora al potere, non possiamo certo illuderci che si dia da fare per far emergere la verità. Sarebbe autolesionismo puro. Niente è più difficile che ammettere i propri errori e chiedere scusa. Per questo il potere sta facendo di tutto perché la verità su quel che accadde vent’anni fa non venga alla luce. Gli errori commessi nel 1992-’94 e forse anche dopo dai rappresentanti delle istituzioni sono gravissimi non solo in sé ma anche perché hanno prodotto metastasi cancerose vastissime, ramificate. Lo Stato, diceva Sciascia, non processa se stesso.

E allora c’è poco da fare…

Eh no, c’è moltissimo da fare. Sono convinto che sia essenziale la pressione dal basso, di cui le 100 mila firme raccolte in pochi giorni dal Fatto sono l’ennesima testimonianza. Io alla spinta dal basso credo ogni giorno di più. Non dimentichiamo che è stato grazie alla spinta dal basso se lo scorso anno si sono vinti i referendum sul nucleare, l’acqua pubblica, il legittimo impedimento e se si sono eletti sindaci perbene a Milano e in altre grandi città. Io sono fiducioso, siamo in tanti, molti più di quanti non pensiamo. E iniziative come la vostra hanno anche il merito di ricordarcelo.

dal Fatto Quotidiano del 14 agosto 2012

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