E anche un po’ vergognoso.

Un ragazzo grande e grosso, alto almeno uno e novanta, intervistato da Rai News 24, dice: “La mia è una generazione senza speranze. Non potrò mai comprarmi una casa, avere una famiglia, avrò solo lavori precari e malpagati!”

La sinistra applaude a questi discorsi, venera le depressione che colpisce i giovani perché è la prova del malgoverno della destra e della necessità del cambiamento.
Ma io penso che sia demagogia disastrosa. Non voglio certo negare la gravità della condizione dei giovani o le colpe della destra.

Ma io credo che coltivare la speranza sia essenziale se si vuole migliorare la situazione. E anche se è vero che i giovani italiani stanno soffrendo gravemente uno Stato ingiusto è vero anche che nei Paesi del Terzo Mondo milioni di giovani, poveri in modo estremo, stanno lottando tenacemente per costruirsi un futuro migliore e hanno speranza. L’Europa è vecchia e abbrutita dal consumismo, e i nostri mass media non ci raccontano di 100 milioni di giovani donne che nel Sud del mondo stanno costruendosi un avvenire grazie al microcredito. Non ci raccontano delle migliaia di cooperative che stanno cambiando il volto del lavoro (anche grazie al commercio equo). Non fa notizia che solo in Bangladesh si siano costruiti 140 mila micro impianti di produzione di biogas, che hanno liberato mezzo milione di persone dall’onere di raccogliere legna per cucinare. I media hanno la missione di coltivare al contrario pessimismo e frustrazione: tutto va male, non ci sono speranze.

L’attuale sistema di pensiero è indirizzato a tenere le persone sotto il tallone del potere. Valorizza i limiti, gli ostacoli, la difficoltà usandoli come fonte di paura.
Se guardiamo la cultura borghese in trasparenza possiamo leggere un mantra onnipresente: “Solo i grandi uomini vincono e tu non sei un grande uomo!”
Se i sudditi si montano la testa poi potrebbero anche alzarla… E allora finisce che il re è nudo e i villani si aggirano per le strade con i forconi e i grandi muri sociali vengono abbattuti. A volte pure le teste.
Gli strumenti principali che la cultura dominante utilizza per avvilire le speranze, sono una scuola che sperpera l’autostima e la fantasia, una serie di censure della storia umana e delle scoperte scientifiche e una serie di storie completamente inventate.

Queste macchinazioni culturali concorrono alla distruzione di un elemento essenziale della nostra personalità: il senso di responsabilità.
Che ci puoi fare se tanti bambini muoiono di fame? Non sei Napoleone!
Ma anche: cosa ci vuoi fare se la tua eredità genetica contiene un malanno?
Quante volte abbiamo sentito dire: “Ho una malattia genetica, non c’è niente da fare…”
Sono ormai 30 anni che le scoperte sul Dna hanno dimostrato che si può fare molto.

Infatti, ci vogliono tempi biblici per modificare il messaggio genetico ma si può modificare rapidamente il sistema di lettura di questo messaggio. Nasce a partire dagli anni ’80, la comprensione della centralità nella nostra vita dell’epigenetica.
Se un tipo di topolina selezionato per fare ricerca sul diabete, geneticamente diabetica, col pelo chiaro e grassa, assume cibi sani e equilibrati dà alla luce topolini magri, scuri, senza diabete. Essi hanno nel loro Dna il diabete ma il sistema epigenetico non legge quelle informazioni. Vengono congelate.

Un altro modo per limitare il potere di iniziativa delle persone è insegnare che se sei di fronte a un ostacolo devi aggredire il cuore del problema.
Così milioni di persone cercano di migliorare il mondo arrivando alla grande rivoluzione che tutto risolve.

Negli ultimi decenni sta invece emergendo una diversa strategia di cambiamento. C’è chi la chiama strategia dei piccoli passi, chi pensiero laterale, chi spinta gentile.
Si tratta di un approccio rivoluzionario alla questione del cambiamento e della responsabilità. Grazie a questa strategia di azione sono state compiute imprese “impossibili” e si è dimostrato che il piccolo potere di poche persone, se concentrato su un risultato parziale ma immediato, può avere successo e innescare una serie di eventi positivi concatenati. Ad esempio Antanas Mockus, diventa sindaco di Bogotà con un partito dal nome assurdo (Partido Visionario) e riesce a far crollare del 50% il numero di morti ammazzati in città, in pochi giorni, utilizzando un esercito di clown. (Vedi qui questa ed altre storie)

Il motto di questi nuovi pragmatici è quello di mirare al piccolo risultato vicino invece che a quello lontano e grandissimo.
La stessa strategia la troviamo nel movimento delle Città in Transizione.

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