Non si può applicare il reato di tortura ai poliziotti imputati per l’irruzione alla scuola Diaz, durante il G8 di Genova del 2001. Lo ha affermato il sostituto procuratore generale Pietro Gaeta nella prima udienza del processo in Cassazione, che vede imputati 25 tra agenti, funzionari e alti dirigenti della Pubblica sicurezza, tutti condannati in appello. Era stata la Procura generale di Genova a chiedere di modificare il reato di lesioni, ormai prescritto undici anni dopo i fatti, in quello più grave di tortura, che però non è previsto dal nostro ordinamento. L’ostacolo avrebbe potuto essere aggirato appellandosi alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma secondo Gaeta esiste in materia una “riserva di legge” (in sostanza, una supremazia della normativa nazionale). Inoltre si introdurrebbe una “reformatio in pejus” ai danni degli accusati. Se la corte accoglierà questa interpretazione, resterà in piedi (fino al 2013) soltanto il reato di falso in atto pubblico, relativo alla firma e all’avvallo di verbali di arresto e perquisizione a carico dei 93 arrestati – di cui sessanta furono feriti nel blitz – pieni di circostanze non vere, come quella delle molotov attribuite ai manifestanti, mentre erano state portate nella scuola dalla polizia. 

Il sostituto pg Gaeta ha chiesto ai giudici della Quinta sezione di dichiarare inammissibile anche il ricorso delle difese degli imputati, che chiedevano la riapertura del processo perché in primo grado erano stati condannati 13 imputati, mentre in appello le responsabilità sono state ampliate a tutti i 25, compresi dirigenti di vertice della polizia di Stato e dei Servizi segreti, come Franco Gratteri, Gilberto Caldarozzi, Giovanni Luperi. La richiesta è basata su una sentenza della Corte europea, emessa lo scorso luglio, secondo la quale “in caso di riforma in peggio del verdetto di primo grado, Strasburgo impone di riascoltare tutti i testi nel processo di appello”. Gaeta ha replicato che il caso citato è “diverso” dal processo Diaz “che si basa su molte fonti di prova, mentre il verdetto europeo si riferisce ad un processo dove l’unica fonte di prova era un solo teste”. 

Il presidente della quinta sezione Giuliana Ferrua è intervenuta anche sul caso, emerso nei giorni scorsi, del suo ingresso improvviso nel processo in sostituzione del collega Aldo Grassi. “Non vi sorga il dubbio che io non conosca approfonditamente le carte di questo processo”, ha spiegato il magistrato torinese. “La mia nomina a presiedere il collegio risale ai primi quindici giorni di aprile, ho ricevuto tutti gli atti per email e a maggio ho tenuto solo tre udienze proprio per dedicare il mio impegno a conoscere questo processo”.

All’apertura de processo in Cassazione su una delle pagine più sanguinose del G8 di Genova è arrivato anche il giornalista inglese Mark Covell, ridotto in fin di vita dalle botte di diversi agenti fuori dal complesso scolastico di via Battisti, prima dell’irruzione. Per il suo caso i pm di genova Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini avevano ipotizzato il reato di tentato omicidio, ma dai filmati non è stato possibile riconoscere i poliziotti responsabili dell’aggressione, né alcuna testimonianza utile è arrivata dai tanti colleghi presenti. Covell ha affermato di avere “piena fiducia nella Corte di Cassazione”, ma ha preannunciato che “se andra male” ricorrerà alla Corte di Strasburgo. 

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