Alberto Bombassei e Sergio Marchionne

Fiat potrebbe rientare in Confindustria se Alberto Bombassei diventasse il prossimo presidente dell’associazione. A scriverlo in una nota è lo stesso amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne: “Il modo di operare che Confindustria ha attuato fino ad oggi non basta più. Il programma presentato da Bombassei è certamente innovativo e votato al radicale cambiamento dell’associazione. Noi ci riconosciamo in questo processo che, se dovesse essere completato, porrebbe le basi per un rientro della Fiat in Confindustria”. A meno di un mese dalle elezioni del nuovo presidente dell’associazione degli industriali, l’ad del Lingotto si schiera apertamente con il “falco” Bombassei attualmente vice presidente per le Relazioni industriali, affari sociali e previdenza. Una stilettata alla “nemica” Emma Marcegaglia che, eletta il 13 marzo 2008 e in scadenza il prossimo 24 maggio, aveva aspramente criticato Marchionne per aver lasciato Confindustria con “motivi senza senso” (leggi).

Marchionne tesse le lodi di Bombassei definito “un uomo aperto al dialogo, all’innovazione e al cambiamento”, con doti che sarebbero “molto utili” a Confindustria in questo periodo di rinnovamento in cui, secondo l’ad di Fiat, l’associazione va “rinnovata per partecipare da protagonista alla modernizzazione del nostro Paese, in linea con le riforme che il governo Monti sta portando avanti”. Ma quali sono le doti cui Marchionne fa riferimento? Sicuramente l’atteggiamento “duro” di Bombassei sul sindacato considerato un “legaccio” alle trattative tra industria e lavoratori. Solo 4 mesi fa, inaugurando il nuovo polo produttivo di Dabrowa Gornicza, Bombassei ricordava quanto fosse “più semplice” avere relazioni sindacali in Paesi come, appunto, la Polonia. E rampognava la Cgil in vista dello sciopero nazionale: “Fra qualche settimana mi pare che ci sia uno sciopero della signora Camusso. Quindi l’amore sviscerato tra di noi non è che sia così vero se ritiene di fare lo sciopero che poi paghiamo noi non loro”, diceva all’agenzia Adn il 14 ottobre scorso. E poi, per Marchionne, Bombassei “è un imprenditore di assoluto valore”. Perché? Perché guida “un’azienda che da anni fornisce prodotti d’eccellenza alla Fiat, alla Ferrari e da qualche tempo alla Chrysler, la Brembo spa, all’avanguardia tecnologica e con una forte vocazione internazionale”.

“Pur essendo la Fiat uscita da Confindustria riconosco l’importanza che l’Associazione potrà avere nel rilancio dell’economia italiana”, premette l’ad del Lingotto. “La scelta del futuro presidente è quindi molto importante”. “Giorgio Squinzi (patron della Mapei spa e candidato oltre Bombassei alla presidenza di Confindustria, ndr) e Alberto Bombassei sono due persone perbene e due grandi industriali. Su Squinzi – sottolinea Marchionne – non mi posso pronunciare perché non lo conosco personalmente. Bombassei, invece, lo conosco molto bene”.

L’ad della Brembo spa ha presentato la sua candidatura alla presidenza di Confindustria il 18 gennaio scorso quando inviò una lettera ai membri di giunta e ai presidenti delle associazioni di Viale Astronomia con un vero e proprio “documento programmatico” in cui forniva una lettura del posizionamento dell’industria nel panorama internazionale, affrontando i temi caldi delle relazioni industriali e del ruolo della Confindustria, senza risparmiare critiche nei confronti dell’organizzazione imprenditoriale. Ed è anche questo taglio critico, oltreché il legame aziendale tra Brembo e Fiat, ad aver portato Marchionne a un vero e proprio “endorsement” a favore di Bombassei. Perché, nella visione dei due manager, Confindustria dovrebbe avere una struttura più snella, meno burocratica e soprattutto meno dispendiosa. Una visione che trova sponda anche in altri membri di Confindustria, connotati politicamente all’opposto di Bombassei. Come l’ingegnere Carlo De Benedetti, editore del quotidiano La Repubblica che, intervenendo il 12 ottobre scorso all’Università Bocconi di Milano, aveva detto: “Confindustria è un’ organizzazione che ha un costo assolutamente sproporzionato, più o meno 500 milioni all’ anno, ed è una cifra che non corrisponde a un ritorno sufficiente”.

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