A Barletta le operaie muoiono per 4 euro l’ora. A Torino, per decisione di un tale, se ne va la Fiat. A Roma si discute di molte cose, ma non – soprattutto – di questa. E’ la classica uscita all’italiana. Dopo i Borboni, Crispi. Dopo Mussolini, Badoglio. E dopo Berlusconi, Montezemolo, Letta, un qualunque banchiere o un qualunque imprenditore. Vent’anni di governo-imprenditore di destra, e poi altri venti – secondo loro – di governo-imprenditore di… di che cosa?

Esiste una maggioranza in Italia, che vince nei referendum, vince nei sindaci e vincerebbe alla grande, se la lasciassero votare, in qualunque altra elezione.E’ una maggioranza sociale, molto prima che politica. Se la politica si adeguerà (Pd, Idv, Sel e compagnia) bene. Se no, questa maggioranza farà la sua politica  lo stesso. La farà più lentamente, magari con più inciampi, ma che la farà – al tempo di Internet – ormai è fuori discussione.

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Parlare dei Siciliani, in un momento come questo, ha un significato preciso. I Siciliani sono stati una delle primissime voci, e dei primi soggetti militanti, della società civile. Non si parlava delle escort di Berlusconi, a quel tempo, si parlava degli imprenditori mafiosi – e cioé del potere. Se ne parlava direttamente e senza mediazioni, muro contor muro.

Se ne parlava all’interno di un blocco sociale preciso, i giovani delle facoltà e delle scuole, il ceto medio più civile, e – per brevi momenti – nel corpo della plebe siciliana. Pochi operai, poche fabbriche, ma emarginazione e miseria e un’atavica storia, non dimenticata, di ribellioni.

Non era ovvio il legame, a quel tempo, fra le fabbriche del nord e i nostri quartieri. Gli operai siciliani in Fiat lottavano come tutti gli altri. Ma tornando in Sicilia trovavano un altro mondo.

Da allora sono passati trent’anni. La mafia, il potere mafioso, non è più siciliano. Sta dilagando a Milano, a Roma è nel partito di governo. La fabbrica – Marchionne insegna – non è più la patria intangibile, ma il luogo dell’insicurezza e del non-diritto. “Lavoratore” vuol dire, a nord e a sud, tante cose, ma principalmente non avere un posto fisso e dei diritti legali. Sempre più spesso, “precario” sostituisce “impiegato” e “operaio”.

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La lotta radicalissima di trent’anni fa, contro la mafia imprenditrice e tutto il suo potere è quindi più attuale ancora di prima. Ci manca, quella lotta. Ci manca un’antimafia complessiva, terreno per l’unità delle forze – dei giovani, dei precari, di tutti i non-cannibali del Paese – e per un nuovo patto di generazione. Per un nuovo rapporto col nostro Stato, che dobbiamo difendere ma che dev’essere nostro, com’era stato fondato. L’antimafia, la militanza antimafia, la cultura antimafia, il governo antimafia, in questo preciso senso sono il possibile inizio di qualcosa.

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I Siciliani era un giornale, e anche Siciliani Giovani vuol esser tale. Ma i Siciliani erano molto più di un giornale, erano un punto di partenza e un motore. E anche noi, ora, vorremmo essere tali. In Sicilia? No. Nel Paese. Da soli? No. In rete con altri, con serietà e modestia, tutti insieme.

“Siciliani” per noi non indica un pezzo di terra, una regione, ma il simbolo di una lotta di tutti, il luogo dove la lotta è iniziata – ma non dove sarà decisa. A Milano come a Catania, a Modica come a Ovada, in questo siamo tutti Siciliani.

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E’ terminata la prima fase di progettazione, e da domani cominciamo a lavorare al numero uno di questo nuovo/antico giornale. Rinasce con la rinascita del Paese, nelle stesse settimane e negli stessi mesi. Guarda davanti a sé, senza voltarsi indietro. Con una parola di lotta – la Marsigliese, i Siciliani – ed una di speranza. Quel giovani è la storia d’Italia, quante volte tradita dai patriarchi, quante volte salvata dai giovani senza-potere.

Per conoscere meglio Riccardo Orioles: www.ucuntu.org

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