I rigatoni sono piaciuti a tutti, il misto di pesce invece ha diviso. Non meno della nuova manovra, riscritta per la millesima volta (e sempre male: almeno in questo risiede coerenza). Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. I gerarchi italiani, invece, gozzovigliano. E affrontano la catastrofe esibendo le avanguardie che meritano: Berlusconi, Bossi, Tremonti, Calderoli, Cicchitto, Maroni, Alfano, Gasparri. Una milizia intellettuale che in qualsiasi altro paese rimpolperebbe – quando non le galere – le fila degli addestratori di cimici albine, ma che in Italia signoreggia e soverchia.

La notizia del vertice di Arcore, laddove “vertice” è un ossimoro, non è tanto la mesta lista della spese: Province abolite (come no), parlamentari dimezzati (numericamente; cerebralmente se la cavano già da soli) e stretta sulle pensioni (ancora una volta ha ceduto la Lega: mai visto un “celodurismo” così moscio). I dati salienti sono altri: il “dove” e il “chi”. Il pensatoio per elucubrare una contromossa valida alla crisi non è stato una sede istituzionale, bensì un bordello privato. Il luogo entro cui si è raggiunta l’intesa ha infatti coinciso con la sala del pianoforte di Villa San Martino. Quella – si dice – dei festini. Un po’ come se Napoleone, pure lui despota bonsai nonché instancabile sul fronte strategico-ormonale, avesse pianificato l’annientamento a Wagram della Quinta Coalizione dentro una segreta del Marchese De Sade.

Dalla filosofia alla politica del “boudoir”: un bel passo avanti. Mens sana in corpore sano, governo balzano in villa libertina. Non è dato sapere se i governanti, tra uno Champagne e un gingerino, abbiano poi festeggiato con un’allegra scozzata di zebedei, oppure stringendo l’erettissimo membro della statua priapica in segno di stima. È invece acclarato che la Bunga Bunga Room, dopo aver visto olgettine orgasmizzanti e pseudo-giornalisti dalle pudenda crudamente avvizzite, ha dovuto assistere financo ai temibilissimi riflussi esofagei di Calderoli: neanche la Dresda rasa al suolo durante la Seconda Guerra Mondiale ebbe a subire cotanto mattatoio.

Se il “dove” è emblematico, il “chi” è lisergico. Le sorti di una nazione non sono più nelle mani del Parlamento. I grandi temi vengono ormai affrontati da un ristretto manipolo di arditi, sistematicamente protesi ad avvalorare le tesi lombrosiane. Fuoriluogo citare i Monty Python o La cena dei cretini: per essere grulli occorre talento. Urge una breve ricognizione dei fenomeni che hanno varato la “Manovra Priapo-Prostatica”. Il capotavola era Silvio Berlusconi. Ovvero il Premier più ricattato del mondo, politicamente bollito da anni e zimbellato da tutto il pianeta terracqueo (soltanto Veltroni ne ha ancora una certa stima latente). Di Alfano non c’è molto da dire, se non che ha riscritto il concetto di carisma: al suo confronto, perfino Memo Remigi che rilegge un hit dei Black Sabbath assurgerebbe a trascinatore di folle. Tremonti, usato come controfigura di Russell Crowe in A Beautiful Mind, passava fino a ieri per mente eccelsa, a conferma di quanto siano messi male nel centrodestra (al punto da ritenere Luca Barbareschi un attore). Ora ammazza le giornate sperando che Milanese non racconti quel che sa: la sua parlata cinguettante (le corde vocali di Tremonti vengono usate come diapason dalle upupe) e il suo futuro da arguto economista ne uscirebbero feriti.

Di Umberto Bossi non si può dir male, perché è malato e perché ci ha quel figlio lì. Massima solidarietà, ma non è che anche prima dell’ictus fosse statista da Nobel. Ridotto a malinconica macchietta, ormai cade pure dal letto: chissà, forse è la coscienza latente che nella notte si contorce e vergogna. Di Fabrizio Cicchitto non si ricordano gesta memorabili, a parte l’iscrizione alla P2, il passato come balenottero (“delfino” non è il caso) del socialista Riccardo Lombardi, le labbra vezzose e il mantra “Lei mi deve lasciar parlare!” con cui scudiscia i conduttori tivù (non ha capito che, quando provano a zittirlo, operano per il suo bene). Maurizio Gasparri, il politico dallo sguardo fieramente bovino e la patata in bocca (altri suoi alleati ce l’hanno in testa), deve quasi tutto alla satira: se per disgrazia gli scappa una frase intelligente, non è sua ma di Neri Marcorè.

Tra un Bobo Maroni (ah) e un Lurch” Ghedini (ahhhhh), c’era poi l’aitante Roberto Calderoli. Il Lato A di Borghezio, l’idea di druido che ha il Trota. L’uomo – e “uomo” è qui licenza poetica – che con la sola imposizione di una t-shirt ha fatto invelenire Bengasi. L’inventore del Porcellum elettorale e il pasionario rubizzo che brucia “375mila leggi inutili” (fateci caso: “inutili”, “porcate”. Calderoli ama giocare in casa).

Più che un summit, quello di Arcore è da configurarsi come esposizione rutilante di varia umanità. Beato il paese che non ha bisogno di eroi, diceva Brecht. Aveva ragione, benché comunista. Però, anche il paese che non ha bisogno dei Gasparri, mica è meno fortunato.

Il Fatto Quotidiano, 31 agosto 2011

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