Ci risiamo. Piccole grandi differenze che scelgo di non chiamare discriminazioni. Fatti importanti nel loro essere secondari rispetto a tematiche di indubbio interesse primario. Tant’è che se mia figlia vuole indossare un abitino da adolescente tutto pieno di paillettes o di fiocchetti, la sottoscritta deve prima inginocchiarsi presso la sarta, poi distruggere il capolavoro per martoriarlo ad hoc per la vestibilità.

Un aneddoto: il 3 luglio dello scorso anno Diletta ha ricevuto la prima comunione. Accontentata in tutto come ogni mamma cerca di fare, mi sono ritrovata a cucire le scarpe. Spesa complessiva inferiore ai 30 euro. Ma neanche 300 sarebbero bastati per farle avere le scarpe come voleva lei: bianche, con un fiocco grande e le perline. Così mamma ha preso un paio di scarpe da ginnastica ritmica. Con pazienza certosina e veglia notturna le ha completate e foderate di raso, decorate per intero di perline trasparenti. Il fiocco era esattamente quello che Diletta desiderava scorgere sulla punta dei suoi piedi sempre rinchiusi in scarpe che vengono imposte e sono sempre orribili. Da ultimo: come conteniamo il piede? E interviene la sorella di 7 anni che sentenzia: i piedi di Diletta sono sulle punte come quelli delle ballerine, mettile i nastri delle scarpette da punta. Detto fatto: un successone.

Però: è giusto che non sia una scelta, ma una manovra da ultima, disperata chance? Chi si collega a qualche sito che vende abiti adattati scoprirà che la disabilità vuol dire smettere di amare la propria immagine. Viene da sé l’approccio triste e deprimente, che specie nella giovane età porta discriminazione, sottolinea una diversità costretta. E pensare che basterebbe così poco! Almeno una parte dell’abbigliamento potrebbe essere proposta in modalità accessibile con accorgimenti davvero minimi. Qualche esempio? Le poche alternative al giaccone in inverno: ci vuole così tanto a scegliere modelli, colori e tagli diversi da un catafalco nero? Questione pioggia: è così impossibile creare un aggancio tipo passeggino per ombrelli normali? Potrei continuare per ore…

Oggi cercavo qualche spunto per la primavera, alternative a visiere e cappelli per riparare dal sole testa e occhi, e mi sono imbattuta nella storia di Ernesto Simionato, “un ex sarto che, vivendo la realtà della malattia in prima persona, [ha ideato] un brevetto di prototipi per una linea di abbigliamento rivolta a disabili, anziani, infortunati e malati, specifica per chi ha problemi di paralisi, dolori o disagio nel muovere gli arti: l’idea sta infatti nel far indossare l’indumento non nella maniera tradizionale, bensì tramite accostamento.” Al piacere della scoperta si è aggiunta un pò di tristezza, perchè nella crisi generale, nel moltiplicarsi di associazioni, fondazioni, gruppi, e nelle mille teoriche opportunità, non si riesce a creare un’iniziativa che a costi contenuti restituisca a tutti il diritto di vestirsi: magari male, ma scegliendo in libertà.

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