Il blog di Asma Al Ghoul

Sul suo blog critica Hamas e solidarizza con i manifestanti del Maghreb. Accade a Gaza, dove Asma Al Ghoul, giornalista e blogger di 28 anni, sfida la cultura integralista. Nel 2003 si è sposata per amore con un poeta egiziano, ha avuto un figlio e ha divorziato per poi decidere nel 2006 di abbandonare il velo, massimo affronto per la cultura islamica. Asma è una delle pochissime donne della Striscia che combatte anche online la sua battaglia contro la violenza del governo, la corruzione di Fatah e per i diritti delle donne. In cambio riceve solidarietà in Rete e minacce di morte offline per mano anche di un suo zio, leader militare del gruppo fondamentalista. La sua posizione si è aggravata a seguito dell’appoggio alla rivoluzione egiziana e ai suoi blogger. Appoggio che ad Asma è costato l’arresto e le botte della polizia femminile.

“Quando ho aperto il mio blog nel 2008 postavo soltanto gli articoli che scrivevo sul quotidiano arabo locale per cui lavoravo, Al Ayyam – spiega Asma -. Dall’anno successivo l’ho utilizzato invece per scrivere ciò che su un giornale i lettori non avrebbero mai potuto leggere. E adoro la possibilità di ricevere un immediato feedback. Voglio dare voce ai tabù religiosi che impediscono alle donne di fumare il narghilè o di andare in bicicletta, denunciare gli abusi di Hamas”, dice convinta la blogger. “E’ dura, la polizia mi controlla. Al contrario, è molto più semplice aprire un blog per criticare l’occupazione israeliana. In quel caso, nessuno verrà a cercarti”.

Oggi Asma vive a Gaza City insieme alla sua famiglia e al figlio Nasser, dopo aver divorziato dal marito che risiede in Europa. Anche chi le è vicino vive sotto il ‘Grande Fratello’ degli islamici: “Lo scorso dicembre mio fratello è stato arrestato perché protestava contro la chiusura di Sharek youth forum, un’organizzazione sponsorizzata dall’Onu che si occupa dei palestinesi nei campi profughi. Il 31 gennaio mi hanno fermata per essere scesa in piazza a sostegno dei blogger egiziani e contro il regime di Mubarak. In caserma sono stata picchiata perché non portavo l’hijab (il velo islamico, ndr) e rilasciata dopo sette ore. Volevano che mio padre, professore di ingegneria all’università islamica di Gaza, mi impedisse di scrivere. Gli hanno chiesto che lasciassi il blog, che la polizia legge e considera pericoloso”. Proprio a Gaza, però, l’ospedale ‘Mubarak’ è stato rinominato ‘Tahrir’, la piazza simbolo della rivolta egiziana. Perché allora Hamas ha arrestato chi era sceso a manifestare? “Nessuno doveva schierarsi prima di una vittoria o una sconfitta definitiva di Mubarak – prosegue la giovane donna -. Se noi avessimo festeggiato nei giorni prima la sua caduta e alla fine lui avesse resistito, si sarebbe vendicato. I codardi di Hamas aspettavano solo un vincitore certo prima di muoversi, chiunque fosse”.

Asma Al Ghoul non crede che l’onda delle rivoluzioni del Maghreb possa ispirare anche a Gaza il vento del cambiamento: “L’Egitto voleva abbattere una dittatura, aveva chiaro il nemico e lo scopo. Qui invece abbiamo due bersagli da abbattere: Hamas e Israele – racconta la blogger -. I fondamentalisti sono ancora molto forti e neanche i Fratelli Musulmani intendono ignorare i trattati di pace di Oslo o Camp David”. Secondo Asma il problema da affrontare in Maghreb sarà la transizione verso la formazione di nuovi governi che, tuttavia non saranno democratici. “Come sognatrice e blogger è dura ammetterlo. Possiamo cambiare i leader ma non la filosofia della corruzione che è radicata. Gli altri paesi in rivolta, dalla Libia alla Giordania, hanno prodotto ‘copie’ della rivoluzione egiziana, senza creare un loro ‘originale’. Il processo democratico non sarà il risultato di queste rivoluzioni”.

E nonostante i blocchi ordinati da Mubarak e Gheddafi la Rete è stata uno strumento cruciale per la diffusione capillare della rivolta: “Se dovessi fare una classifica – conclude Asma – metterei al primo posto Facebook e i blog, seguiti da You Tube e Twitter. Qui a Gaza la diffusione dei social media è all’inizio, ma in Egitto sono più evoluti. E pensare che la censura del web in Tunisia durante il regime di Ben era implacabile, peggio che a Gaza. Lì era difficile anche pensare di aprire un blog”.

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