Il colloquio

Mediapro, parla il patron Jaume Roures: “Io, milionario trozkista porto il calcio in tv anche ai poveri”

Jaume Roures - Il capo di MediaPro – la società che si è comprata la serie A per un miliardo – fa affari tra comunismo e indipendentismo catalano

27 Febbraio 2018

Lui vuole fare la rivoluzione, anche nel pallone: “Il mio obiettivo non è solo che il calcio abbia più denaro, ma che i tifosi abbiano più calcio”. Promette abbonamenti a prezzo popolare, si proclama trozkista, ma guida una multinazionale che fa affari col Qatar ed è finita in mani cinesi. Jaume Roures, 68 anni, sguardo sornione, mille contraddizioni e un profilo aquilino da film di Almodovar, può essere considerato uno dei nuovi padroni del pallone italiano: è fondatore e proprietario di MediaPro, la società spagnola che si è aggiudicata i diritti tv della Serie A per oltre un miliardo l’anno e ora deciderà come e dove si vedranno le partite in Italia. Però parla di proletariato e si compromette per l’indipendentismo catalano. “È il mio modo di orientarmi nel mondo: guardo alla prospettiva sociale, non all’interesse personale”.

A cena in un ristorante raffinato, tra i giornalisti che ha fatto arrivare dall’Italia per mostrare il suo impero, indossa un maglione sgualcito e ordina una semplice tortilla. Il potere di MediaPro non è nelle apparenze, ma nel fatturato da oltre un miliardo e mezzo l’anno. Jaume, però, è nato nel quartiere più umile di Barcellona, da giovane militava nella IV Internacional e i testi di Lev Trockij li ricorda a memoria. “La rivoluzione comincia su basi nazionali, ma non può restare circoscritta entro i suoi confini”. È per questo che dopo aver conquistato la Liga ha deciso di sbarcare in Italia? “No – sorride – qui la politica non c’entra”. Eppure nella sua vita il confine tra business e ideologia è sottile.

La sede di MediaPro in cui ci accoglie è addobbata con un enorme drappo catalano: qui è stato prodotto il famoso documentario “1-O” sulle cariche della polizia durante il referendum, simbolo della resistenza catalana nonché clamoroso successo di ascolti. E sempre qui ha messo a disposizione dei giornalisti che seguivano l’evento un centro stampa, rigorosamente a pagamento, però. Avere o essere? La sua risposta è in un’altra domanda: “Se per me fosse solo business, perché complicarmi la vita? Potrei starmene steso al sole su un’isola, invece sono qui. A voi cosa sembra?”. Gli interrogativi continuano. Delle sue contraddizioni non sembra crucciarsi. Da giovane lottava contro il regime e fu anche arrestato per le sue idee, ma ciò non gli impedisce oggi di lavorare con Javier Tebas, ex franchista capo della Liga, a cui è legato in affari milionari.

È passato tempo e continua a dirsi comunista: “Perché vergognarmene? La storia ci sta dando ragione, il capitalismo ha fallito: i poveri sono sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi”. Lui appartiene alla seconda schiera: “Ma i soldi sono importanti, mi permettono di raccontare la verità, sostenere le mie idee, provare a cambiare le cose. Mi attaccano perché sono di sinistra: anche il Vangelo predica uguaglianza, eppure nessuno va a dire ad un cattolico che non può fare l’imprenditore. Può essere che la mia sia una contraddizione, forse la loro è ancora più grande”. Materialista, visionario, arguto, mentre guadagna con GolTv che va in onda sulle frequenze di Rcs di Urbano Cairo, Roures sostiene di pensare al popolo.

Specie il suo: la Guardia Civil lo accusa di essere uno dei capi occulti della rivolta catalana. Nega, anche se quando parla del referendum gli brillano gli occhi: “I catalani hanno il diritto di decidere il loro futuro, poi magari non sarà l’indipendenza”. Ha anche favorito un contatto tra i leader di Podemos (di cui è sostenitore) e gli indipendentisti di sinistra in una cena segreta a casa sua. Ma ora c’è da pensare alla Serie A: ha vinto un bando che gli permette di fare poco, assicura che si atterrà “scrupolosamente” alla legge (ha già problemi a sufficienza in patria, o negli Usa dove MediaPro è stata coinvolta nel FifaGate per una presunta tangente), ma per il futuro sogna di costruire un nuovo “canale del calcio” anche in Italia. La sua rivoluzione, che vale un sacco di soldi.

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