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“È un’arte di vivere”: la cucina italiana riconosciuta patrimonio mondiale dell’Unesco

Si tratta della prima cucina al mondo riconosciuta nella sua interezza. L'elogio della pratica multigenerazionale, riconosciuta come un patrimonio millenario. “Viva l’Italia, viva la cucina italiana”, ha commentato a caldo la presidente del consiglio Giorgia Meloni

di Redazione FqMagazine
“È un’arte di vivere”: la cucina italiana riconosciuta patrimonio mondiale dell’Unesco

La “cucina italiana” è patrimonio culturale immateriale dell’umanità. È stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco riunito a New Delhi (India) a dichiararlo. Si tratta della prima cucina al mondo, intesa come tradizione gastronomica culinaria, ad essere riconosciuta nella sua interezza. Secondo i membri Unesco la “cucina italiana è una miscela culturale e sociale di tradizioni culinarie”, ma anche “un modo per prendersi cura di se stessi e degli altri, esprimere amore e riscoprire le proprie radici culturali, offrendo alle comunità uno sbocco per condividere la loro storia e descrivere il mondo che li circonda”. I membri dell’Unesco si sbilanciano anche in ulteriori considerazioni tra l’antropologico e il culturale. Sempre la “cucina italiana” “favorisce l’inclusione sociale, promuovendo il benessere e offrendo un canale per l’apprendimento intergenerazionale permanente, rafforzando i legami, incoraggiando la condivisione e promuovendo il senso di appartenenza”.

E ancora il giudizio si sbilancia anche sull’atto del “cucinare” definita “un’attività comunitaria che per gli italiani enfatizza l’intimità con il cibo, il rispetto per gli ingredienti e i momenti condivisi attorno alla tavola”. Infine c’è pure una lettura etica tanto che nella motivazione ufficiale si citano fantomatiche “ricette anti-spreco” come una “trasmissione di sapori, abilità e ricordi attraverso le generazioni”; la cucina italiana viene quindi definita con un ardire poetico letterario piuttosto enfatico “una pratica multigenerazionale, con ruoli perfettamente intercambiabili che svolge una funzione inclusiva, consentendo a tutti di godere di un’esperienza individuale, collettiva e continuo di scambio, superando tutte le barriere interculturali e intergenerazionali”.

Un patrimonio millenario

I dossier inviati all’Unesco erano 60, provenienti da 56 paesi diversi, tra questi quello italiano curato dal giurista Pier Luigi Petrillo e particolarmente apprezzato per “gli sforzi significativi compiuti da organismi rappresentativi chiave come la rivista La Cucina Italiana, l’Accademia Italiana della Cucina, la Fondazione Casa Artusi”. È sotto il governo Meloni, nel 2023, che la storia della candidatura inizia ufficialmente. Il ministero della Cultura, allora sotto l’egida Sangiuliano, ebbe l’ardire di presentare un dossier dedicato non a un singolo piatto ma a un’intera cultura culinaria, “un rito collettivo di un popolo che concepisce il cibo come elemento culturale identitario”. “Viva l’Italia, viva la cucina italiana”, ha commentato a caldo la presidente del consiglio Giorgia Meloni. “La nostra cucina nasce da filiere agricole che coniugano qualità e sostenibilità. Custodisce un patrimonio millenario che si tramanda di generazione in generazione. Cresce nell’eccellenza dei nostri produttori e si trasforma in capolavoro nella maestria dei nostri cuochi. E viene presentata dai nostri ristoratori con le loro straordinarie squadre”.

Meloni chiosa spiegando che questo orgoglio nazionale e i prodotti che lo compongono vanno “protetti con maggiore efficacia da imitazioni e concorrenza sleale”. Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, si è invece dedicato all’elemento antropologico e sociale del riconoscimento, citando perfino il “pranzo della domenica”: “Soltanto il fatto che il nostro stare a tavola, il nostro modo, peculiarmente italiano, di stare insieme, sia erede di tante ritualità, che il nostro ‘pranzo della domenica i nostri momenti conviviali in occasione delle feste, siano elementi di una tradizione antichissima e in evoluzione continua, dice tutto. I nostri piatti sono espressione dei nostri territori, delle nostre radici familiari, che attraversano le generazioni”.

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