La “cucina italiana” è patrimonio culturale immateriale dell’umanità. È stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco riunito a New Delhi (India) a dichiararlo. Si tratta della prima cucina al mondo, intesa come tradizione gastronomica culinaria, ad essere riconosciuta nella sua interezza. Secondo i membri Unesco la “cucina italiana è una miscela culturale e sociale di tradizioni culinarie”, ma anche “un modo per prendersi cura di se stessi e degli altri, esprimere amore e riscoprire le proprie radici culturali, offrendo alle comunità uno sbocco per condividere la loro storia e descrivere il mondo che li circonda”. I membri dell’Unesco si sbilanciano anche in ulteriori considerazioni tra l’antropologico e il culturale. Sempre la “cucina italiana” “favorisce l’inclusione sociale, promuovendo il benessere e offrendo un canale per l’apprendimento intergenerazionale permanente, rafforzando i legami, incoraggiando la condivisione e promuovendo il senso di appartenenza”.
E ancora il giudizio si sbilancia anche sull’atto del “cucinare” definita “un’attività comunitaria che per gli italiani enfatizza l’intimità con il cibo, il rispetto per gli ingredienti e i momenti condivisi attorno alla tavola”. Infine c’è pure una lettura etica tanto che nella motivazione ufficiale si citano fantomatiche “ricette anti-spreco” come una “trasmissione di sapori, abilità e ricordi attraverso le generazioni”; la cucina italiana viene quindi definita con un ardire poetico letterario piuttosto enfatico “una pratica multigenerazionale, con ruoli perfettamente intercambiabili che svolge una funzione inclusiva, consentendo a tutti di godere di un’esperienza individuale, collettiva e continuo di scambio, superando tutte le barriere interculturali e intergenerazionali”.
Un patrimonio millenario
I dossier inviati all’Unesco erano 60, provenienti da 56 paesi diversi, tra questi quello italiano curato dal giurista Pier Luigi Petrillo e particolarmente apprezzato per “gli sforzi significativi compiuti da organismi rappresentativi chiave come la rivista La Cucina Italiana, l’Accademia Italiana della Cucina, la Fondazione Casa Artusi”. È sotto il governo Meloni, nel 2023, che la storia della candidatura inizia ufficialmente. Il ministero della Cultura, allora sotto l’egida Sangiuliano, ebbe l’ardire di presentare un dossier dedicato non a un singolo piatto ma a un’intera cultura culinaria, “un rito collettivo di un popolo che concepisce il cibo come elemento culturale identitario”. “Viva l’Italia, viva la cucina italiana”, ha commentato a caldo la presidente del consiglio Giorgia Meloni. “La nostra cucina nasce da filiere agricole che coniugano qualità e sostenibilità. Custodisce un patrimonio millenario che si tramanda di generazione in generazione. Cresce nell’eccellenza dei nostri produttori e si trasforma in capolavoro nella maestria dei nostri cuochi. E viene presentata dai nostri ristoratori con le loro straordinarie squadre”.
Meloni chiosa spiegando che questo orgoglio nazionale e i prodotti che lo compongono vanno “protetti con maggiore efficacia da imitazioni e concorrenza sleale”. Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, si è invece dedicato all’elemento antropologico e sociale del riconoscimento, citando perfino il “pranzo della domenica”: “Soltanto il fatto che il nostro stare a tavola, il nostro modo, peculiarmente italiano, di stare insieme, sia erede di tante ritualità, che il nostro ‘pranzo della domenica i nostri momenti conviviali in occasione delle feste, siano elementi di una tradizione antichissima e in evoluzione continua, dice tutto. I nostri piatti sono espressione dei nostri territori, delle nostre radici familiari, che attraversano le generazioni”.