Cinema

Father, mother, sister, brother. A Venezia 2025 la bagattella di Jim Jarmusch che riconcilia col cinema

Un film di una purezza stilistica abbacinante. Produce Yves Saint Laurent, tra gli altri, e Mubi distribuisce

di Davide Turrini
Father, mother, sister, brother. A Venezia 2025 la bagattella di Jim Jarmusch che riconcilia col cinema

Mai ci siamo strappati i capelli per il cinema di Jarmusch e non ce li strapperemo di certo ora. Però Father, mother, sister, brother, in Concorso a Venezia 2025, è una di quelle tipiche sue bagattelle verso la quale non si può rimanere indifferenti. Un film jarmuschianamente lento, strutturato magistralmente in forma di trittico (Padre – Madre – Fratello e sorella, i tre episodi), dove vige un senso del limite, una cesellatura e ripulitura delle sagome, delle parole e dei toni in scena vicino alla trascendenza.

Nel primo episodio Jeff (Adam Driver) e la sorella Emily (Mayim Bialik) sono su un auto e si dirigono verso la casa isolata davanti a un lago del padre vedovo (Tom Waits). Apparentemente rimbambito l’uomo è la quintessenza del minimalismo descrittivo stralunato e surreale di Jarmusch: trasandato, incasinato, bofonchia catatonico quattro parole, dà da bere acqua per un brindisi, sembra come uscito da una vita tossica senza essersi mai del tutto ripreso. I due figli molto ordinari nei modi e nel vestire lo scrutano con perplessità ma lo aiutano per quelle tre quattro cose casalinghe compiute nella manciata di ore della visita; ore puntellate dalle tipiche linee di dialogo ridotte all’osso alla Jarmusch. Una volta che i due figli se ne sono andati il babbo però non pare essere così rincoglionito come sembra.

Nel secondo episodio ci si sposta dal New Jersey ad una ricca periferia dublinese dove vive una sofisticata scrittrice alto borghese (Charlotte Rampling) che ha preparato il tè per le due figlie che vede sempre più di rado. In questo caso l’eccentricità alla Jarmusch passa dal padre del primo episodio alle due sorelle del secondo: Lilith (Cate Blanchett) è una vetusta zitellona, tutta occhialoni da miope e calze di nylon cadenti; Timothea (Vicky Krieps) ha i capelli tinti di rosa, è squattrinata e lesbica. L’incontro si risolve con i regalini alle figlie da parte dell’austera madre e al ritorno a casa in auto delle due donne.

Il terzo episodio è ambientato a Parigi e vede i gemelli orfani Skye (Indya Moore) e Billy (Luka Sabbat) visitare per l’ultima volta il luminoso e largo appartamento parigino dei defunti genitori. Jarmusch seziona un lembo di Coffee and Cigarettes, recupera il plongée sui tavolini con caffè e bevande varie, si autocita in mezzo a vasi di fiori e cuce legami paradossali e linguistici tra episodi (l’uso del termine Desolandia; dell’espressione idiomatica “Bob è tuo zio” – una specie di “ecco qua”-; i Rolex veri presentati come patacche; l’attenzione verso l’elemento dell’acqua da bere). Ne esce un film di una purezza stilistica abbacinante, con gli attori che si fanno annullare dal minimalismo antispettacolare del nostro e la solita amabile delicatezza musicale (Spooky di Dusty Springfield, These days di Nico) ad accompagnare malinconicamente il teatrino di anime dropout come fossimo sotto effetto di una fumata di erba. Produce Yves Saint Laurent, tra gli altri, e Mubi distribuisce.

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