Favorì la latitanza di Messina Denaro: pena ridotta in Appello per Bonafede jr. “Non faceva parte di Cosa nostra”
Aveva, tra le altre cose, accompagnato Matteo Messina Denaro a Mazara Del Vallo per la prima operazione alla quale si era sottoposto il boss di Castelvetrano, cioè nel momento di maggiore rischio per la sua vita e per la sua latitanza. Ciò nonostante Andrea Bonafede, classe ’69, pur avendo favorito la latitanza del boss, non era parte dell’associazione mafiosa. Questo è quel che ha riconosciuto la Corte d’Appello di Palermo, riducendo la pena di primo grado. Bonafede, dipendente del comune di Campobello di Mazara – cugino omonimo del Bonafede, classe ’63, che aveva prestato l’identità a Messina Denaro – era stato condannato a sei anni e otto mesi in primo grado (in abbreviato) nel novembre del 2023 e adesso la condanna è stata ridotta a sei anni in secondo grado. La Corte d’Appello ha quindi di fatto confermato la sentenza del giudice di primo grado, Rosario Di Gioia, che aveva motivato la sua decisione spiegando che l’operaio di Campobello avesse aiutato il boss esclusivamente per “garantire a Messina Denaro le cure necessarie al suo stato di salute”. Una sentenza avverso la quale si era appellata la Procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia, non condividendo il giudizio del gup.
Di Gioia aveva ritenuto provato che Bonafede junior avesse accompagnato il latitante presso gli ospedali di Mazara del Vallo e Trapani, fornendo supporto logistico, nel periodo in cui l’ex primula rossa di Castelvetrano scopriva il tumore al colon. Era provato anche che si fosse occupato della documentazione medica, di prescrizioni e medicinali, con una continua interazione con Bonafede senior, il medico di base Alfonso Tumbarello e lo stesso Messina Denaro. Questi alcuni dei primi elementi che secondo la procura di Palermo già provavano l’associazione a Cosa nostra. Nel frattempo, dopo la prima sentenza, altri particolari erano emersi dalle indagini della procura del capoluogo siciliano, aggravando, secondo l’accusa, il profilo dell’imputato: Bonafede aveva, infatti, invitato al proprio matrimonio esponenti di rilievo della mafia di Campobello. Ma non solo: aveva accompagnato Messina Denaro a Palermo, una volta per fare acquisti in una salumeria, un’altra per fare un tatuaggio, entrambi eventi avvenuti tra il 2012 e il 2013, potendo fare risalire il supporto alla sua latitanza da molto prima della scoperta del tumore, nel novembre del 2020.
A tutto questo si aggiungeva anche un dialogo intercettato nel 2021 fra Francesco Luppino, storico esponente apicale della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, e il suo uomo di fiducia Pietro Di Natale. Luppino parlava di Bonafede junior come il “mio figlioccio”, e ricordava la vicinanza e il supporto fornito a “Salvatore”, riferendosi a Salvatore Gentile, anche lui in carcere per mafia, nonché marito di Laura Bonafede, amante di Messina Denaro e cugina di Andrea, e genero di Bernardo Bonafede, boss di Campobello. Per questo la Procura generale aveva chiesto un aumento della pena fino a 12 anni. Argomenti che non hanno, però, Convinto la corte d’Appello ha confermato oggi che Bonafede abbia favorito la latitanza di Messina Denaro, senza tuttavia far parte dell’associazione mafiosa, addirittura riducendo la pena di otto mesi.