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Bimbi con disabilità discriminati dai centri estivi: mancano gli educatori e le famiglie devono pagarseli da soli

Testimonianze di genitori che devono affrontare costi maggiori e restrizioni per i figli disabili nei centri estivi, nonostante il diritto all'inclusione
Bimbi con disabilità discriminati dai centri estivi: mancano gli educatori e le famiglie devono pagarseli da soli
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Se trovare e riuscire a pagare un centro estivo per un figlio è già difficile, si tratta di una sfida molto più complicata per i genitori che hanno bambini con disabilità. Spesso alle prese con esclusione e discriminazione. Le associazioni che tutelano queste famiglie e i loro figli, come Ledha, rivendicano il diritto alla partecipazione e all’inclusione di tutti i bambini e ragazzi nei centri estivi, ma le testimonianze raccolte da ilfattoquotidiano.it raccontano di una realtà fatta di ostacoli, rifiuti, assenza di educatori specializzati. E poi ci sono le richieste di compartecipazione alle spese, più elevate rispetto a quelle da sostenere per i loro coetanei. Tutto questo non permette la reale inclusione dei ragazzi con disabilità, anche nei casi in cui sia necessario garantire un rapporto di assistenza di uno a uno e crea una situazione di discriminazione. “I bambini con disabilità hanno pieno diritto a partecipare ai centri estivi in condizioni di parità con tutti gli altri. Si tratta di un diritto soggettivo pieno, tutelato sia dall’ordinamento nazionale sia da quello internazionale” spiega a ilfattoquotidiano.it Laura Andrao, esperta nazionale di Diritto delle disabilità e attivista per un mondo accessibile e inclusivo per tutti.

La storia di Valeria e Alessio: “Ci offrono l’educatore per solo 10 giorni su 60” Valeria C. è madre di Alessio, un bambino di quattro anni. Frequenta il primo anno di una scuola materna del III° Municipio di Roma, in cui la sua diagnosi di disturbo dello spettro autistico moderato viene accolta e gestita con amore e competenza. “Il problema di assistenza per mio figlio arriva in estate – racconta a ilfattoquotidiano.it – perché il Municipio III° ha messo a disposizione solo 60 ore di Operatore educativo per l’autonomia e la comunicazione (Oepac), senza il quale lui non può frequentare il centro. Vuol dire solamente dieci giorni su circa sessanta”. La mamma di Alessio ha così dovuto iscriverlo in un centro privato e pagare una Oepac a spese nostre, per sette settimane. Costo: “Circa 3mila euro. Purtroppo, la disabilità non va in vacanza e serve una soluzione sociale al problema”. Valeria è una psicoterapeuta e pone l’accento sull’organizzazione e la presenza degli educatori dei minori con disabilità una volta terminato l’anno scolastico. “Il centro estivo del nostro Municipio – spiega – offre una figura specializzata solo per una settimana e solo presso i centri estivi vincitori di appalto, dove non potrei anche volendo pagare privatamente l’educatore”. Non c’è scelta e la famiglia in questo modo è costretta a rivolgersi altrove. “Siamo obbligati a cambiare struttura e figura di riferimento, non avendo altre persone che possano aiutarci a tenere Alessio mentre lavoriamo – spiega – ma questo per un bambino autistico è uno stress enorme”. Si tratta di un paradosso: “Per la burocrazia italiana, mio figlio magicamente sarà disabile solo per dieci giorni e poi smetterà di avere diritto all’assistenza che gli spetta. Io, però, lavoro tutto l’anno come partita Iva e ho solo due settimane di stop non pagato. Secondo lo Stato cosa dovremmo fare? Le scuole devono restare aperte in estate, con personale diverso”.

Il diritto violato – Il diritto dei bambini con disabilità a partecipare ai centri estivi in condizioni di parità con tutti gli altri coetanei è sancito a partire dalla Costituzione italiana, che all’articolo 3 stabilisce il principio di uguaglianza sostanziale e impone alla Repubblica di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona umana. Ed è sancito anche dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità che riconosce espressamente il diritto alla partecipazione alle attività ricreative e culturali, compresi i contesti educativi e di tempo libero. “La giurisprudenza amministrativa ha più volte confermato che il diritto del minore con disabilità di partecipare a queste attività è effettivo e va garantito con tutti i supporti necessari” spiega Laura Andrea, ricordando che numerose sentenze dei Tar “hanno ribadito l’illegittimità di quei Comuni che negano l’accesso o non garantiscono le misure di sostegno necessarie, come la presenza di un educatore, l’assistenza all’autonomia o l’adeguamento delle attività”. Il principio è chiaro: “Se il servizio è aperto a tutti i bambini, allora deve essere accessibile anche a quelli con disabilità, con gli strumenti adeguati”. La responsabilità è dei Comuni che devono quindi garantire nei centri ricreativi che siano presenti i necessari sostegni individualizzati. “Questo vale sia nel caso di servizi organizzati direttamente dal Comune, sia quando esso si affidi a soggetti terzi, cooperative o associazioni. È il Comune – conclude l’avvocata – a dover coprire i costi dell’assistenza educativa e può farlo attraverso risorse proprie, fondi statali o regionali, oppure attraverso i finanziamenti previsti per l’inclusione delle persone con disabilità, inclusi quelli del Pnrr”.

La storia di Alyssa e Manuel e la lotta dei loro genitori Alyssa e Manuel hanno rispettivamente 7 e 5 anni ed entrambi hanno una disabilità certificata con legge 104 (articolo 3 comma 3, che ne definisce la massima gravità). Con i loro genitori, Christian M. e Katia F., vivono a Savignano sul Panaro, in provincia di Modena. “Lottiamo da cinque anni con il Comune e l’Unione delle Terre di Castelli per il riconoscimento dei loro diritti scolastici e di accesso al centro estivo” dicono i genitori. “È inaccettabile dover ricordare continuamente leggi – raccontano a ilfattoquotidiano.it – che dovrebbero essere già ben conosciute da chi amministra. Ci chiediamo se davvero ignorino i riferimenti normativi o se semplicemente scelgano di non ascoltare”. Alyssa, che frequenta la prima elementare, oltre a essere sorda, è anche autistica. Ha bisogno di figure professionali specializzate, come un assistente alla comunicazione LIS e personale formato sull’autismo. “Il Comune è perfettamente a conoscenza del fatto che ogni anno iscriviamo i nostri figli al centro estivo proprio per garantire loro continuità educativa, apprendimento, inclusione e socializzazione. Eppure – spiegano i genitori – ci viene sempre ripetuto che tutto dipende dai fondi disponibili o dalle decisioni della Regione. Ma non è accettabile. Il Comune ha il dovere, etico e istituzionale, di garantire accessibilità, pari opportunità e servizi adeguati alle persone con disabilità”. Sanno bene che le figure specializzate comportano un costo, ma sono essenziali per assicurare un supporto professionale e di qualità: “Pretendiamo che il Comune compia uno sforzo concreto, che prenda posizione e non lasci indietro nessuno. Discriminare è facile, includere è un dovere”. Quest’anno, mancando l’assistenza idonea per la gestione di Alyssa, la bimba è stata, di fatto, esclusa dal centro estivo. “Questo per noi è un fatto gravissimo, si chiama discriminazione”.

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