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Omicidio del giudice Antonino Scopelliti, chiesto l’incidente probatorio per ascoltare i pentiti Avola e Tranchina

L'istanza è stata presentata dagli avvocati del collaboratore di giustizia che si è autoaccusato del delitto, consumato il 9 agosto 1991 a Villa San Giovanni
Omicidio del giudice Antonino Scopelliti, chiesto l’incidente probatorio per ascoltare i pentiti Avola e Tranchina
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Il collaboratore di giustizia Maurizio Avola potrebbe essere sentito sull’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, ancora prima che la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria decida se esercitare l’azione penale nei confronti degli indagati accusati del delitto consumato il 9 agosto 1991 a Piale, una frazione di Villa San Giovanni.

I suoi difensori, gli avvocati Ugo Colonna e Massimo Alosi, hanno chiesto al Tribunale l’incidente probatorio che, in sostanza, consisterebbe in un interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari. Avola dovrebbe riferire quanto già detto alla Dda, rispondendo anche alle domande degli avvocati degli indagati.

La richiesta riguarda non solo il pentito ma anche un altro collaboratore di giustizia, Fabio Tranchina, l’ex autista del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano che non è indagato nell’inchiesta sull’omicidio Scopelliti ma che, nelle settimane in cui si è consumato il delitto, avrebbe trascorso un periodo di latitanza a Giardini-Naxos, in un’abitazione procuratagli dai mafiosi “catanesi”. Se la richiesta di incidente probatorio dovesse essere accolta dal gip, le nuove dichiarazioni che Avola renderà verrebbero cristallizzate nel fascicolo dell’indagine e un domani, se ci dovesse essere un processo, potrebbero essere acquisite senza necessariamente ascoltare di nuovo il pentito in aula.

Intanto l’indagine va avanti e nei giorni scorsi la Dda di Reggio Calabria ha affidato alla Polizia Scientifica l’incarico di eseguire gli accertamenti tecnici irripetibili di tipo biologico sullo stereo della Bmw di Scopelliti. “Verificare la presenza di eventuali tracce biologiche e procedere ai conseguenti ed eventuali rilievi sulle tracce presenti sull’autoradio in sequestro, utili sia per la determinazione del profilo del Dna e ai fini balistici, per ricostruire la direzione dei colpi esplosi”, si legge nel quesito consegnato al perito dal procuratore Giuseppe Lombardo e dal sostituto della Dda Sara Parezzan che stanno coordinando l’inchiesta sull’attentato avvenuto poche settimane prima che il magistrato rappresentasse l’accusa nel maxiprocesso a Cosa Nostra davanti alla Suprema Corte.

Se il movente è apparso subito chiaro, adesso gli inquirenti stanno cercando di trovare prove nei confronti dei presunti sicari. Le operazioni sull’autoradio sono già iniziate e, stando a quanto appreso, serviranno anche a riscontrare le dichiarazioni di Avola che, nel 2017, ha raccontato di aver guidato la moto che ha affiancato l’auto di Scopelliti. A sparare, invece, sarebbe stato Vincenzo Salvatore Santapaola (il figlio del boss Nitto Santapaola) con un fucile che, stando ai verbali del pentito, lo stesso Avola avrebbe seppellito a Belpasso, in provincia di Catania, dove poi è stato ritrovato, in pessime condizioni, dalla Squadra mobile.

I risultati relativi all’accertamento sull’autoradio dovranno essere confrontati dalla Direzione distrettuale antimafia “con gli ulteriori accertamenti in corso – si legge sempre nel quesito consegnato al perito – al fine di effettuare una ricostruzione tridimensionale della scena del crimine, determinare la dinamica dell’azione omicidiaria e ricostruire la traiettoria dei proiettili esplosi”. Al conferimento dell’incarico alla Polizia Scientifica, in questura hanno partecipato anche diversi avvocati a cui era stato notificato l’avviso di accertamenti tecnici non ripetibili. Nessuno di legali degli indagati e delle parti offese, al momento, ha nominato un perito di parte anche perché solo il 4 giugno è stato comunicato l’oggetto che dovrà essere analizzato dal consulente della Procura.

Nelle scorse settimane sono state eseguite diverse perquisizioni in Calabria e Sicilia dalle quali è emerso che la Dda, dal 2017 ad oggi, ha iscritto 24 persone nel registro degli indagati. Tre di questi, nel frattempo, sono deceduti: il boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro (che avrebbe fatto parte del commando), il boss di Archi Giovanni Tegano e Francesco Romeo, cognato Nitto Santapaola. Nei confronti di quest’ultimo, anche lui formalmente indagato, però, non si può procedere perché per l’omicidio Scopelliti è stato assolto in un precedente processo.

Ne restano 20 di indagati, considerati il gotha della ‘Ndrangheta reggina e di Cosa Nostra. Sul fronte calabrese ci sono i boss di Archi Pasquale Condello detto il “Supremo” e Giuseppe De Stefano (figlio di don Paolino De Stefano), il boss di Africo Giuseppe Morabito e il boss di Limbadi Luigi Mancuso (pure lui definito il “Supremo”), uno dei capi dell’alleanza delle ‘ndrine del milanese Franco Coco Trovato e Giuseppe Zito, ritenuto uno degli esponenti di vertice della cosca Zito-Bertuca attiva nel territorio di Villa San Giovanni. Ma anche Giuseppe Piromalli, Pasquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Luigi Molinetti detto “Gino la Belva”. A questi vanno aggiunti i catanesi Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea e Vincenzo Salvatore Santapaola.

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