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Spalletti non è una vittima, l’esonero giusto di un pessimo ct. Ma ora chi caccia Gravina?

È anche nelle difficoltà, nelle ristrettezze di una squadra mediocre, che più si vede la mano dell’allenatore. E quella dell'allenatore di Certaldo si è vista solo in negativo. Ma il prossimo a pagare dovrebbe essere il presidente della FederCalcio
Spalletti non è una vittima, l’esonero giusto di un pessimo ct. Ma ora chi caccia Gravina?
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Neanche due anni, 24 partite (l’ultima da giocare con la valigia in mano stasera, in un clima surreale e l’obbligo di vincere contro la piccola Moldova), poche gioie (giusto la qualificazione sofferta a Euro 2024 e l’illusoria di Nations League in Francia), tanti dolori, l’apoteosi in Norvegia, disfatta che supera persino la figuraccia ad Euro 2024 contro la Svizzera. Finisce così il ciclo disastroso sulla panchina dell’Italia di Luciano Spalletti, lascia in eredità una nazionale in macerie e un’altra qualificazione a un altro mondiale a forte rischio.

Di fronte a questo ennesimo fallimento, i limiti di un movimento ridotto ai minimi storici sono talmente evidenti che si potrebbe essere quasi tentati di risparmiare di Spalletti. Infatti, passata l’ondata iniziale delle critiche, ottenuta la testa del ct con l’esonero, sono già iniziate le analisi assolutorie. Gli hanno fatto pure l’applauso in conferenza stampa, e non si capisce per cosa. Se sono cambiati tre commissari tecnici (Spalletti, appunto, Mancini e Ventura) ma non i risultati, cioè quello di una nazionale che rischia di non qualificarsi un’altra volta al Mondiale. Se abbiamo saltato a piè pari due-tre generazioni e ormai da quasi due decenni non produciamo uno straccio di talento offensivo. Se ovunque in Europa – e non parliamo solo di Francia e Spagna ma ormai anche di Belgio, Svizzera e Norvegia – si gioca un calcio fresco e veloce, mentre noi siamo ancorati a ritmi stantii. Se il calcio italiano ha tutti questi problemi, non sarà certo colpa dell’allenatore. Invece la verità è che Luciano Spalletti, che rimane un ottimo allenatore di club come testimonia la sua carriera, è stato un pessimo ct. Uno dei peggiori in assoluto che si ricordi a memoria, per le aspettative che si portava dietro. Non una vittima, ma artefice di un disastro nel disastro: se c’è un colpevole dell’ultimo anno e mezzo da brividi della nazionale è proprio lui.

La sua gestione è stata una disgrazia, se non proprio dal primo minuto (ricordiamo il pareggio in Macedonia, ma di quello almeno non gli si poteva imputare responsabilità alcuna visto l’addio del “traditore” Mancini), sicuramente fino all’ultimo, con la disfatta in Norvegia che ha già compromesso il girone verso Usa 2026 e ci costringerà probabilmente agli spareggi. In mezzo c’è stato un Europeo indecente, dopo il quale chiunque dotato di un briciolo di autocritica e dignità si sarebbe già fatto da parte. Una marea di errori di valutazione, convocazioni bislacche, enorme confusione tattica, giocatori messi continuamente fuori ruolo, una gestione scadente anche a livello psicologico e persino umano. Spalletti non è mai entrato in sintonia col gruppo, che anzi ha spaccato ulteriormente. A furia di trattar male i giocatori, sminuire il loro valore, minare le loro certezze, ha coltivato un senso di disaffezione alla maglia azzurra che nelle ultime uscite era sempre più palpabile. Non è riuscito a fare ciò che è il primo compito di un ct, che come tutti sanno è molto più selezionatore che allenatore: creare un gruppo coeso, dare una minima identità di squadra e poi affidarsi al campo. È anche nelle difficoltà, nelle ristrettezze di una squadra mediocre, che più si vede la mano dell’allenatore. E quella di Spalletti si è vista solo in negativo. Non c’è esonero più sacrosanto di questo.

Seguendo la catena delle responsabilità, però, il prossimo a pagare dovrebbe essere il presidente della FederCalcio, Gabriele Gravina, che Spalletti l’ha scelto e soprattutto difeso. Se in principio la nomina sembrava condivisibile (Spalletti arrivò nell’estate del 2023 a furor di popolo, dopo lo scudetto col Napoli eravamo tutti convinti che fosse l’uomo giusto per risollevare la nazionale), si è rivelata presto sbagliata e la conferma post Europei grida vendetta. Dopo Euro 2024 Gravina ha protetto Spalletti per proteggere se stesso, nel timore che le dimissioni del ct potessero innescare un effetto domino che arrivasse fino alla presidenza, pensando alla propria poltrona e non al bene dell’Italia. Proprio come aveva fatto con Mancini dopo la Macedonia e la mancata qualificazione a Qatar ’22. E in entrambi i casi la conferma ci si è ritorta come un boomerang, e ci sta costando carissimo, con la fuga di Mancini in Arabia prima e la disfatta in Norvegia adesso. Gravina, la vera costante nei disastri della nazionale negli ultimi quattro anni. Lui che si comporta come fosse il proprietario della nazionale, come un presidente mangia allenatori qualsiasi. Lui che ha promesso riforme senza riuscire mai ad attuarle. Lui che rimane aggrappato alla poltrona, trincerandosi dietro un finto senso di responsabilità e il consenso bulgaro di un sistema, quello del calcio italiano, che non è neanche vagamente democratico, e di cui lui controlla tutti i capibastone. Bruciata anche l’era Spalletti, in attesa del prossimo salvatore della patria che probabilmente avrà le sembianze paternaliste di Ranieri, rimane solo una domanda: giusto l’esonero del ct, ma adesso chi caccia Gravina?

X: @lVendemiale

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