Scenario numerno uno: partita cruciale per la corsa scudetto, un difensore del Napoli sfiora appena l’attaccante avversario, l’arbitro dopo un lungo consulto al Var assegna il rigore che decide il match. Talmente verosimile che è praticamente già successo alla prima giornata di campionato, col penalty fischiato a Cajuste, e meno male che in questo caso fosse abbastanza netto da sgombrare il campo dalle polemiche (non del tutto: tra i tifosi c’è già chi mugugna per il rigorino), ma tanto l’occasione per un caso con tutti i crismi è solo rimandata. Scenario n. 2: 12 settembre, San Siro, la nuova Italia di Spalletti affronta l’Ucraina ma non può contare su Di Lorenzo e Raspadori, tenuti a casa dal Napoli per dei leggeri infortuni, e perde la sfida decisiva per andare agli Europei. Decisamente meno probabile, anzi tutti quanti ci auguriamo che non accada mai. L’esercizio di fantasia (nemmeno troppa) serve però a capire in che guaio la FederCalcio, Spalletti, il Napoli e in fondo tutti quanti noi ci siamo cacciati: ci aspetta una stagione di veleni e complottismo.

Si può avere un commissario tecnico della Nazionale, l’uomo che deve guidare la squadra che rappresenta un intero Paese, in causa contro uno dei club principali del Paese nonché campione d’Italia? Senza entrare nel merito delle responsabilità (questo è un altro discorso ancora), è una situazione talmente inopportuna, da prestare il fianco a tutta una serie infinita di speculazioni, sospetti, polemiche. E siamo certi che noi in Italia non ce ne faremo mancare neanche una. Diciamolo chiaramente: noi alle teorie del complotto non crediamo e non crederemo mai. Delirante pensare che un arbitraggio a sfavore, o una prestazione insufficiente possano dipendere dal contenzioso che probabilmente ci sarà (tutto lascia intendere che andrà così, visto le parole fissate con un comunicato ufficiale da De Laurentiis e la firma già avvenuta di Spalletti con la Figc), ma è solo fuori dal campo e lì resterà. Siccome però l’Italia è la patria del complottismo, e Napoli probabilmente la capitale mondiale del vittimismo, siamo certi che qualcun altro abboccherà all’amo delle malelingue. Ogni fischio sbagliato, ogni decisione politica nel palazzo (ricordiamo che tra De Laurentiis e la Federazione c’è in ballo anche il delicato tema della multiproprietà del Bari, caso ormai unico nel sistema calcio italiano), ogni giocata dei napoletani in maglia azzurra rischia di essere vista con gli occhi del sospetto, se non si riuscirà a trovare una conciliazione.

Come al solito in questi casi, la colpa è di tutti e di nessuno. La Figc avrebbe dovuto evitare lo scontro, ma messa spalle al muro dalla fuga di Mancini non aveva tempo né margini, ha dovuto per forza strappare. De Laurentiis, per conto suo, ha ragione: come ha spiegato chiede solo il rispetto degli accordi pattuiti. Eppure la sua intransigenza, più che per principio o per denaro, pare proprio una ripicca personale nei confronti di Spalletti, anche perché non ci pare che il patron del Napoli fosse così allergico ai compromessi un paio d’anni fa, quando la proroga varata dalla Figc di Gravina gli ha consentito di continuare a mantenere il controllo del Bari. Certo è che questo clima pesante non fa bene a nessuno. Certamente non alla Federcalcio, ma nemmeno a De Laurentiis che con un po’ di buon senso avrebbe potuto ottenere un grosso credito nel palazzo, prendendo i classici due piccioni con una fava (in fondo la Figc gli ha fatto un favore: per lui è meglio uno Spalletti sulla panchina della Nazionale che magari su quella della Juventus fra un anno).

E poi, ovviamente, del diretto interessato. Dopo l’addio di Mancini, Spalletti doveva arrivare con l’aura del salvatore della patria, un consenso e sostegno trasversale, che se sicuramente c’è dal punto di vista professionale (nessun dubbio che sia il profilo migliore), potrebbe diventare alla lunga l’ennesimo motivo di divisione per il nostro sistema. Quasi da chiedersi chi glielo abbia fatto fare, con uno scudetto storico sul petto di cui è stato l’artefice in discusso, a sobbarcarsi una Nazionale alle pezze invece che aspettare una grande chiamata che dall’Italia o forse addirittura dall’estero sarebbe sicuramente arrivata. Forse per paura di restare fermo e non trovare nessuna panchina libera fra un anno, oppure, ci piace pensare, semplicemente perché portare la Nazionale del tuo Paese ai Mondiali è un sogno che vale più di ogni considerazione razionale. In bocca al lupo, ne avremo bisogno.

Twitter: @lVendemiale

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