Expo 2015 ci ha lasciato in ricordo aree protette desertificate e il tracollo della biodiversità

di Giovanni Barcheri
Lo chiamarono “Albero della Vita”, quello di Expo 2015, ma, anche a giudicare da molte conseguenze ancora visibili dopo un decennio, ha disseminato anche morte e devastazione.
Premetto subito che criticai, anche scrivendone a molte testate giornalistiche – seppur invano perché non ebbi alcun riscontro nella pubblicazione – coloro che allora, contrari alla globalizzazione e alle multinazionali, misero a ferro e fuoco Milano come forma di protesta. A mio avviso, si sarebbe potuto benissimo contestare Expo attraverso la documentazione di quanto sin da allora stava avvenendo nelle campagne: le rive dei canali, i margini ancora naturalizzati tra i coltivi, i percorsi lungo le strade campestri, sistematicamente già bruciati dall’impiego scriteriato e folle di diserbanti e fitofarmaci che hanno annientato ogni forma di vita biologica, reso sterili i suoli e hanno fatto sparire la biodiversità.
Ad Expo diverse e molte case produttrici di fitofarmaci spacciavano nei loro stand i loro veleni come “sostenibili“, promuovendone la vendita ad un gran numero di coltivatori assolutamente ignoranti e che hanno equivocato il tenere la campagna “pulita” con l’annientare la biodiversità, oramai dediti più che altro ad essere solo pedine per i profitti dei marchi di Expo. I risultati sono evidenti, anche qui in molte aree protette del Parco Agricolo Sud Milano o nelle risaie della Lomellina che apparterrebbero pure alla Rete Natura 2000: a parte il colore del cielo ancora azzurro, i suoli assumono in primavera o in estate già l’aspetto desertificato delle lande marziane oramai senza più traccia di vita spontanea e tristemente anche senza più alcuna necessità di pagare il biglietto a Elon Musk che ci illude di trovare un domani la salvezza su Marte.
Eppure qui, in Lombardia quantomeno, esiste una legge regionale (10/2008) a tutela della piccola fauna e della flora spontanea che vieta il diserbo lungo le rive, i corsi d’acqua, i margini degli incolti e lungo le strade; ma evidentemente disapplicata, a quanto pare per non compromettere i profitti delle multinazionali.
Sebbene pubblicato in Italia sin dal 1966, Primavera silenziosa, il classico di Rachel Carson che conserva tuttora una grandissima attualità, non viene ancora fatto leggere nelle scuole di Agraria e così il silenzio pervade i campi in tutte le quattro stagioni, con buona pace della Giornata internazionale della Biodiversità la quale, al di là dei bei proclami anche in nome dell’Albero della Vita, continua il tracollo sul pianeta.