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Ultimo aggiornamento: 9:57 del 29 Maggio

Bella ciao e il corteo improvvisato fino in Comune, il videoracconto della vittoria di Salis a Genova: “Punita la destra arrogante”

Oltre all’unità, a fare la differenza è stata la rottura con il "modello Toti-Bucci"
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“Il campo progressista deve ricordarsi quante sono le cose che lo uniscono, che sono infinitamente più di quelle che lo dividono”. Silvia Salis, neoeletta sindaca di Genova, rivendica così l’unità della coalizione che l’ha sostenuta: Partito democratico, Alleanza verdi e sinistra, Movimento 5 stelle e “riformisti” (lista che ha tenuto insieme Italia Viva e Azione). Oltre all’unità, a fare la differenza è stata la rottura con il “modello Toti-Bucci”, finito sotto accusa dopo anni di gestione percepita come autoritaria dalle opposizioni e buona parte della cittadinanza genovese. La spinta che nel 2015 aveva portato il centrodestra al governo della Regione e del capoluogo si è esaurita a ottobre, quando Marco Bucci ha vinto per un pugno di voti la competizione elettorale per la Regione dopo le dimissioni di Giovanni Toti, travolto dall’inchiesta per corruzione chiusa con un patteggiamento.

A Genova il Pd ha sfiorato il 30 per cento, superando di sei punti la somma dei voti racimolati dalle varianti liguri di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. “È un segnale che premia la rigenerazione interna che abbiamo compiuto in questi anni, durante i quali abbiamo saputo esprimere maggiore chiarezza e radicalità”, ha detto Simone D’Angelo, segretario dem genovese e consigliere regionale. “Ma soprattutto è un segnale che arriva dai quartieri vessati dall’arroganza di una giunta di destra che ha cancellato l’ascolto”. Sulla stessa linea anche Andrea Orlando, capo dell’opposizione in Regione: “È stata punita l’arroganza di una destra che ha ignorato le richieste del territorio, ha evitato il confronto con le opposizioni e ha condotto la campagna elettorale a suon di insulti, urla, aggressioni e fango”. Il centrodestra ha basato la propria campagna sulla presunta fragilità dell’alleanza tra anime diverse. “Se vincono non gli do neanche sei mesi, vedrai”, ha commentato caustico il presidente Bucci, nei giorni scorsi, mentre accompagnava per cantieri il leader della Lega Matteo Salvini (che a sua volta profetizzava, con incauto ottimismo, un’improbabile vittoria al primo turno del loro candidato).

Sul consolidato luogo comune della litigiosità del centrosinistra, da Genova ostentano tranquillità: “Come abbiamo trovato una visione unica per il programma, riusciremo a lavorare insieme anche ora”, ha detto Selena Candia (Avs), che ha raccolto il 7 per cento. Per Stefano Giordano (M5s), “non serve trovare una quadra: l’abbiamo già trovata con la partecipazione, la condivisione e la trasparenza. I cittadini si sono sentiti isolati da una gestione autoritaria”. A quella fascinazione malcelata per modelli autocratici, che a destra si traduce nella retorica dell’efficienza contro le “interminabili discussioni” del centrosinistra “del no”, Giordano oppone un’altra idea di governo: “Rifiutiamo il concetto dell’uomo solo al comando, la nostra coalizione è basata sulla democrazia partecipativa, e con questo metodo trova una visione comune”. Un approccio di alleanza tra Pd, Avs e M5s che a Genova è nato nel 2017 e a livello locale si è effettivamente affinato in anni di opposizione (e sconfitte elettorali) condivise. Sull’importanza dell’unità insiste anche Salis: “La destra si è legittimata solo grazie alla frammentazione del campo progressista. Perché quando si unisce, nel confronto sulla competenza non c’è paragone”. Dopo l’esultanza davanti al point elettorale, alcune centinaia di attivisti e simpatizzanti hanno accompagnato la sindaca in corteo fino a Palazzo Tursi. Lì Salis ha improvvisato un comizio con il figlio in braccio, davanti alla sede del Comune che torna a sinistra dopo otto anni. Infine, un appello al voto per l’8 e 9 giugno: “Le istituzioni che invitano a non votare sono uno spettacolo terribile”. Ma lei cosa voterà? “Sì, sì. Cinque sì“.

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