Il fotografo franco-brasiliano Sebastião Salgado è morto Parigi, all’età di 81 anni. Era noto soprattutto per le sue grandi foto in bianco e nero di guerra o della foresta amazzonica. Lo ha annunciato oggi l’Accademia delle Belle Arti francese, di cui era membro descrivendolo come “grande testimone della condizione umana e dello stato del pianeta”. Reporter di stampo umanitario e sociale, Salgado è considerato uno tra i maggiori fotografi del secolo e ha spesso dedicato mesi, se non anni, a sviluppare e approfondire tematiche di ampio respiro.
Dopo aver realizzato reportage sulla siccità del Sahel e sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in Europa nei primi Anni Settanta, nella metà di quel decennio entra nell’agenzia Sygma e documenta la rivoluzione dei garofani in Portogallo e la guerra coloniale in Angola e in Mozambico. Ha poi fatto parte dell’agenzia Gamma e in seguito della cooperativa di fotografi Magnum Photos, lasciata nel 1994 per fondare la Amazonas Images dedicando anni a documentare l’Amazzonia, il polmone della Terra messo a rischio, insieme alle sue culture indigene, dalla deforestazione e dal cambiamento climatico.
Nato ad Aimorés l’8 febbraio 1944, dopo aver lavorato per un breve periodo nella pubblica amministrazione e per conto della International Coffee Organization, Salgado ha intrapreso la carriera di fotografo. I suoi lavori, oggetto di mostre e pubblicazioni, denunciano il divario crescente tra Paesi ricchi e Paesi poveri, fornendo un quadro dell’universo di sofferenza in cui si muove gran parte della popolazione mondiale.
Salgado trovò subito una nicchia di cui divenne protagonista, documentando come i cambiamenti ambientali, economici e politici condizionano la vita dell’essere umano. Ha lavorato su molti dei principali conflitti degli ultimi 25 anni, ma la sua opera più famosa rimane probabilmente “La mano dell’uomo”, un colossale progetto sull’uomo e sul lavoro, realizzato in sei anni attraverso 26 Paesi, una delle più importanti opere fotografiche del dopoguerra.
A metà degli Anni Novanta, profondamente toccato dalla crudezza delle scene viste durante il genocidio in Ruanda, Salgado decise di dedicarsi ad un progetto ambientale presso l’hacienda di famiglia in Brasile. Contemporaneamente, spostò la sua attenzione di fotografo sulle tematiche ambientali, e iniziò a lavorare al progetto “Genesis” che lo porterà ad abbandonare le sue caratteristiche di ritrattista, ed a realizzare un colossale omaggio al Pianeta, rappresentando animali e paesaggi non ancora contaminati dal progresso umano. Questa trasformazione nella sua carriera, è stata raccontata splendidamente nel film-documentario “Il sale della Terra” di Wim Wenders.