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Migranti, la Commissione Ue stila l’elenco di Paesi sicuri. Scavalcata la Corte di giustizia (e Meloni ringrazia)

Proposta per emendare il regolamento sulle procedure d'asilo. C'è l'elenco Ue dei Paesi sicuri: ecco il criterio utilizzato per selezionarli
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Il diritto d’asilo è morto, si trattava solo di trovare il modo di formalizzare la cosa e la Commissione Ue ci ha messo la firma. Lo strumento è una proposta di emendamento al Patto su migrazioni e asilo approvato dal Parlamento Ue a maggio scorso, ma operativo solo dal 12 giugno 2026. Troppo, soprattutto per il governo italiano, sotto pressione per la fallimentare prova dei centri in Albania il cui destino è legato alla sentenza della Corte di giustizia europea attesa prima dell’estate. Giorgia Meloni si è sempre detta fiduciosa, ma sempre di magistrati si tratta e infatti la premier non ha mai smesso di chiedere l’anticipazione di parti del Patto, quelle che consentono di superare le decisioni dei magistrati italiani sui richiedenti da Paesi sicuri. Anche con il processo legislativo più snello, l’approvazione della proposta richiederà mesi, ma il segnale politico è chiaro e scavalca l’esame in corso alla Corte di giustizia. E infatti l’Italia ringrazia la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. “Accolgo con grande soddisfazione la proposta di lista Ue per i Paesi di origine sicuri presentata dalla Commissione europea e che ricomprende, tra gli altri, anche Bangladesh, Egitto e Tunisia”, ha detto Meloni.

La proposta – Il governo contava di anticipare la parte del Patto che, a differenza della normativa vigente, prevede esplicitamente la possibilità di designare Paesi di origine sicuri con eccezioni territoriali e per determinate categorie di persone. Ma l’emendamento proposto dalla Commissione va ben oltre, stilando una lista Ue di Paesi sicuri selezionati in base a criteri che non hanno più nulla a che vedere con l’effettiva situazione del Paese d’origine. Nell’elenco ci sono Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia. Ma più che di Paesi “sicuri” si tratta di nazionalità con un bassissimo tasso di riconoscimento delle domande di protezione. E’ questo, infatti, il criterio: “La Commissione europea è giunta alla conclusione che, considerando che in Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Marocco e Tunisia, nonché nel potenziale candidato all’UE Kosovo, non sussiste, in generale, alcun rischio di persecuzione o danno grave, come dimostrato dai bassissimi tassi di riconoscimento, tali paesi terzi possono essere designati come paesi di origine sicuri”, scrive la Commissione. Al netto della situazione reale, infatti, rientrano nell’elenco i Paesi che “creano un numero significativo di casi di asilo, con un tasso di riconoscimento a livello dell’Ue pari o inferiore al 5%”, si legge nel testo.

Il trucco – Il tasso di riconoscimento è quello rilevato da Eurostat e pubblicato anche dall’Agenzia europea per l’asilo (Euaa). Ma la stessa Agenzia spiega che il tasso non tiene conto delle forme di protezione riconosciute dai singoli ordinamenti interni degli Stati membri, come la protezione speciale che l’Italia riconosce in prima istanza all’11% dei richiedenti egiziani e al 15% dei bangladesi, e che invece le statistiche dell’Euaa considerano come domande respinte. Non solo. Il tasso tiene conto dei soli riconoscimenti in prima istanza, che in Italia significa le domande accolte dalle commissioni territoriali, organi amministrativi presso le Prefetture sui quali la pressione politica del Viminale si fa sentire, come i funzionari e le loro rappresentanze sindacali hanno più volte denunciato. Al contrario, in nessun conto sono tenute le domande accolte dopo i ricorsi all’autorità giudiziaria. Una scelta che penalizza i provenienti da Paesi sicuri così selezionati, come se il diritto al secondo grado di giudizio non esistesse.

Le belle parole – Per valutare i Paesi sicuri, dice la Commissione, si tiene conto anche della situazione giuridica, dell’applicazione del diritto in un sistema democratico e delle circostanze politiche generali, tali per cui si possa dimostrare che non vi è persecuzione e nessun rischio reale di danno grave. A rigor di logica, se tale valutazione prevalesse davvero non ci sarebbe stato bisogno del criterio del 5%, che invece sembra prevalere almeno in questo primo elenco di Paesi. Superando così anche la questione sotto esame alla Corte di giustizia. Per eventuali categorie di persone a rischio, infatti, ci si limita a dire che “la conclusione generale di sicurezza non pregiudica le sfide specifiche affrontate da alcuni gruppi nel paese che potrebbero meritare particolare attenzione”. Insomma, ci si può sempre pensare e per il resto si rimanda alla solita raccomandazione secondo cui gli Stati membri devono condurre una valutazione individuale di ogni domanda di asilo, indipendentemente dal fatto che una persona provenga da un Paese di origine sicuro o meno. Ma si tratta di una garanzia che si fa presto a vuotare di ogni contenuto, come le stesse strategie del governo italiano dimostrano, in Albania e non solo.

L’applicazione – E’ nel combinato disposto tra una proposta come quella della Commissione e la sua applicazione da parte dei governi che il diritto d’asilo, già da tempo sotto scacco, viene decapitato. Stabilito che possiamo definire un Paese “sicuro” in base a un indicatore numerico che è anche il risultato di una scelta politica, le persone possono essere sottoposte a procedure sommarie che mi consentono di rigettare le loro richieste semplicemente dichiarandole “manifestamente infondate“, come la legge consente. I primi trasferimenti in Albania dimostrano quanto la prassi rischi di diventare un automatismo nel quale le istanze del singolo difficilmente trovano considerazione. Inoltre, il governo ha dimezzato anche i tempi di impugnazione e complicato l’accesso alla difesa, comprimendo come mai prima d’ora il diritto a un ricorso effettivo. In altre parole, von der Leyen sta fornendo lo strumento definitivo per consentire ai governi di respingere il maggior numero di domande possibile, inibendo le valutazioni sulle garanzie democratiche dei Paesi d’origine e riducendo i richiami alla valutazione individuale a belle e inutili parole.

La fine del diritto d’asilo? – Come ha rilevato ActionAid, “La maggior parte delle richieste di asilo di persone provenienti da paesi considerati “sicuri” (individuati con il Decreto-legge 158/2024) viene respinta, ma non è sempre così e non sono casi isolati. A fine 2023 nel Sai (Sistema accoglienza integrazione) erano ospitate ben 12.169 persone provenienti da questi paesi, il 39,3% del totale. Non si tratta quindi di territori sicuri, non ovunque e non per tutti”. Poco importa. Con il criterio utilizzato dalla lista dei “sicuri” della Commissione e le prassi adottate da governi come quello italiano, chi proviene da quei Paesi rischia di non avere più modo di difendere i proprio diritti, schiacciato da percentuali che elevano a statistiche i risultati di scelte politiche, come la recente sospensione dell’esame delle domande dei cittadini siriani dimostra. Paradossalmente, gli unici tenuti a verificare che nei loro Paesi non vi sia persecuzione o rischio reale di danno grave saranno i magistrati. Come ha scritto in una precedente sentenza la Corte di giustizia Ue, il giudice è obbligato a operare d’ufficio una valutazione della situazione attuale del Paese (“ex nunc“). La politica non ne ha più bisogno, le basta l’ultimo tasso di riconoscimento medio annuo disponibile a livello Ue fornito da Eurostat, che quando esce è già vecchio di un anno. A chi importa?

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