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“Greenpeace will not be silenced”: l’artivist Laika contro il risarcimento di 660 milioni

"Il verdetto contro Greenpeace di oltre 660 milioni di dollari è attacco diretto alla libertà di espressione. Vogliono zittirci ma non resteremo in silenzio" afferma la, street artist
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Greenpeace will not be silenced” (“Greenpeace non verrà ridotta al silenzio”). Un grido acuto e vibrante esce dalla bocca di un’attivista, amplificato con megafono. Questo è quello che si vede rappresentato su volantini e cartelloni, attaccati oggi 9 aprile, nei pressi dell’ambasciata statunitense a Roma dall’artivist Laika in piena solidarietà con Greenpeace. Poche ore prima, poster simili sono fioriti in diversi quartieri della città capitolina a centinaia.

Un gesto di protesta e di rivendicazione ideologica, come ha dichiarato Laika, dopo che lo scorso 19 marzo la compagnia Energy Transfer aveva ottenuto con una storica sentenza oltre 660 milioni di dollari di risarcimento proprio a Greenpeace International, Greenpeace Usa e a Greenpeace Fund Inc per aver mosso proteste contro l’oleodotto Dakota Access.

Una verdetto di risarcimento, ha chiarito Laika, che è piuttosto “attacco diretto alla libertà di espressione” perché sì, quello di protesta è un “diritto“, specie se l’oggetto della propria contrarietà è “un progetto [l’oleodotto, ndr] che minaccia l’ambiente e i diritti delle popolazioni indigene”. Tecnicamente, ha spiegato l’attivista, quella intentata a Greenpeace dalla giuria è una SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation), ovvero una “strategia intimidatoria” a cui le grandi aziende ricorrono per “zittire” i dissensi pubblici, imponendo le loro economie in un “clima autoritario crescente”. Una strategia, detto altrimenti, capace di “spacciare” per “eco-terrorismo” quella che semplicemente (e legittimamente) è una protesta ambientalista a favore di “giustizia climatica e diritti civili”.

A fronte di queste pericolose ingiustizie, Greenpeace è tornata ad alzare la voce non solo contro un verdetto che, se confermato, legittimerà a negare la libertà di parola del dissenso, ma contro un sistema – come quello trumpiano – che già nei quattro anni della prima amministrazione si era dato da fare per smantellare le politiche di protezione aria, acqua e sovranità indigene. Non solo parole però: Greenpeace è passata ai fatti. Se infatti Greenpeace USA ha già annunciato appello contro il verdetto, Greenpeace International ha presentato un’azione legale al tribunale dei Paesi Bassi contro l’azienda statunitense forte della Direttiva europea anti-SLAPP esistente.

“Non ci faremo certo intimidire né fermare dalla pericolosa arroganza delle compagnie fossili”, si legge nel sito ufficiale di Greenpeace, che informa come tentativi di censura di organizzazioni no-profit e singoli attivisti abbiano fatto capolino anche in Italia. L’ENI in particolare “ricorre spesso” alla SLAPP e a intimidazioni legali per colpire giornali, trasmissioni televisive e singoli giornalisti. Dato confermato da un fatto simbolico (quanto amaramente ironico): sia ENI che Energy Transfer avrebbero ricevuto dalla coalizione europea anti-SLAPP Case i premi di “Realtà dipendente da SLAPP dell’anno” (SLAPP Addict Of The Year) e di “Bullo internazionale dell’anno” (International Bully of the Year).

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