Una miniera di criolite sotto il controllo danese sfruttata fino all’esaurimento avvenuto nel 1987. E’ il tema di un documentario trasmesso il 9 febbraio dalla tv pubblica di Copenaghen “DR” che avrebbe avuto una forte influenza sul voto che in Groenlandia ha visto trionfare i social-liberali di Demokraatit e i nazionalisti di Naleraq. Nel doc, intitolato Orsugiak – Greenland’s White Gold (“L’oro bianco della Groenlandia”), viene intervistato l’economista Torben M. Andersen, secondo cui il giacimento di Ivittuut, sulla costa occidentale dell’isola, avrebbe prodotto un fatturato di 400 miliardi di corone danesi – circa 54 miliardi di euro al cambio attuale -, finite interamente nelle casse della società Kryolitselskabet Oresund e della Danimarca.

L’inchiesta, firmata da Claus Pilehave e Otto Rosing, avrebbe avuto un forte impatto sui 57 mila cittadini dell’ex colonia: secondo un sondaggio condotto dall’istituto di ricerca Verian per il quotidiano groenlandese Sermitsiaq prima del voto, il 36% degli intervistati ha affermato che il documentario ha avuto un’influenza sul modo in cui avrebbe votato. La rilevazione è stata effettuata tra il 27 febbraio e il 4 marzo con una domanda invitata tramite sms ai cittadini che si erano precedentemente registrati sul portale dell’istituto. Al sondaggio hanno risposto 726 persone e l’errore statistico, dichiara Verian, è compreso tra gli 1,8 e i 3 punti percentuali. “Il dibattito che ne è scaturito ha avuto un ruolo importante nella campagna elettorale ed è stato caratterizzato da forti emozioni e frustrazioni dovute al rapporto con la Danimarca”, ha spiegato al giornale Signe Ravn-Højgaard, co-fondatrice e direttrice del think tank Digital Infrastructure.

Le conclusioni a cui sono giunti gli autori del doc, in particolare i 54 miliardi di euro che sarebbero potuti finire nelle casse della Groenlandia e sono invece finiti in quelle danesi (ma anche degli Stati Uniti, per via della Pennsylvania Salt Manufacturing Company che acquistò criolite grezza e la rivendette con profitto ad altre aziende del settore), ha scatenato aspre critiche da parte di economisti e politici secondo cui le conclusioni dell’inchiesta non tengono conto delle spese sostenute per l’estrazione e il trasporto della criolite, né dei benefici indiretti per la Groenlandia. In base a questa analisi i profitti del governo danese sarebbero stati “una frazione” dei 400 miliardi di corone citati nel documentario. Gli autori non sono riusciti a chiarire “la differenza tra entrate e profitti”, ha commentato il ministro della Cultura Jakob Engel-Schmidt. Dunque il doc “è fuorviante e irresponsabile“.

Se a influire sul dibattito che ha preceduto le scorse elezioni era stata la storia della miniera di Kvanefjeld, uno dei giacimenti di terre rare più ricco al mondo, questa volta è toccato al deposito di criolite raccontato da Greenland’s White Gold, la cui messa in onda ha avuto diverse conseguenze: il doc stato rimosso dalla piattaforma dell’emittente, il caporedattore di DR News, Thomas Falbe, è stato licenziato e il servizio televisivo pubblico di Copenaghen è stato accusato di aver danneggiato i rapporti tra l’ex colonia e la madre patria in un momento storicamente molto delicato, contribuendo a mettere in discussione la narrazione imposta dalla madrepatria secondo la quale l’isola avrebbe grandemente beneficiato della dipendenza da Copenaghen. “I danesi sostengono spesso che la Groenlandia è solo una spesa, quando noi abbiamo contribuito molto al loro benessere e alla loro prosperità”, aveva commentato dopo la messa in onda l’ex primo ministro Mute Bourup Egede.

Da quando Donald Trump ha espresso la volontà che la Groenlandia diventi territorio statunitense, il tema dell’indipendenza dalla Danimarca è tornato a riaccendersi con forza nel dibattito tra i partiti politici e, di conseguenza, nell’opinione pubblica. Secondo un recente sondaggio promosso da Sermitsiaq e dal giornale danese Berlingske, circa il 45% dei cittadini dell’ex colonia vorrebbe l’indipendenza, a patto che quest’ultima non influisca negativamente sulle condizioni economiche e sociali della popolazione. Ora la palla passa al nuovo governo.

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