La resistenza di Zelensky a un accordo con la Russia c’entra anche con la memoria collettiva ucraina

di Greta Di Mattia
Da fantoccio a comico mediocre, lo spettro di appellativi rivolti ultimamente a Volodymyr Zelensky ha lasciato ben poco spazio alle sfumature. In un mondo in cui queste ultime vengono sacrificate sull’altare di presunte verità assolute gridate da poli opposti, vi propongo di volgere lo sguardo oltre il giallo del grano e il blu del cielo ucraini per capire che forse la resistenza di Zelensky alla ricerca di un compromesso con la Russia non è imputabile unicamente alla volontà del Presidente ucraino, ma affonda le radici in una realtà che non è giusto ignorare: la memoria collettiva.
Ebbene, la memoria collettiva del popolo ucraino è composta da molteplici eventi traumatici derivanti da decenni di dominio sovietico nonché da anni di ingerenza russa nella politica dell’Ucraina indipendente, eventi che hanno reso più difficile la fiducia in una possibile trattativa con la Russia, specialmente se scoraggiata da coloro che promettevano un’irrealistica vittoria finale. In base ad uno dei trattati di strategia militare più antichi e influenti nella storia dell’umanità – L’Arte della Guerra del leggendario autore cinese Sun Tzu – in guerra, i fattori psicologici contano almeno tanto quanto quelli militari. È tenendo a mente questo principio che la figura di Volodymyr Zelensky assume caratteri ben più complessi di quelli di un fantoccio, ovvero quelli di un Presidente le cui decisioni, per quanto criticabili, hanno dovuto far fronte non solo a un’invasione militare, ma anche alla minaccia di un nemico che, più di ogni altro, ha segnato la memoria collettiva del suo popolo.
Un esempio simbolico è la storia di Volodymyr Ivasyuk, uno dei cantanti più amati dal popolo ucraino, famoso soprattutto per la canzone Chervona Ruta (fiore rosso), che è diventata un inno dell’identità ucraina. Nel 1970, Volodymyr fu trovato impiccato in una foresta, all’età di 30 anni. A quel tempo, come sappiamo, l’Ucraina faceva parte dell’Unione Sovietica, e l’ufficio del procuratore concluse che si trattò di un suicidio, ma secondo il popolo ucraino Volodymyr fu ucciso dai sovietici, perché il suo canto trasmetteva un amore per la nazione ucraina che rappresentava una minaccia per il potere di Mosca. D’altronde non sarebbe stato nulla di nuovo, visto che i genitori dei coetanei di Volodymyr avevano vissuto il massacro di circa 300 artisti ucraini fucilati per mano dei sovietici nel 1937, evento entrato nella memoria ucraina con il nome di Rinascimento fucilato.
Una storia simile avrebbe preso fuoco facilmente, soprattutto se sospinta dal vento di vuote promesse da parte di un nuovo, finto amico che, insieme a un vecchio nemico, ha fucilato le speranze di un contemporaneo “rinascimento” ucraino.
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