“Vittima due volte”, del generale libico Almasri e del governo italiano. Si definisce così Lam Magok Biel Ruei, il cittadino del Sud Sudan che ha denunciato la premier Giorgia Meloni e i ministri della Giustizia e dell’Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, per “favoreggiamento” di Najeem Osema Almasri, il generale libico noto come Almasri, arrestato a Torino il 19 gennaio, rilasciato 48 ore dopo e subito accompagnato a in Libia con un volo di Stato per ragioni che il governo non ha ancora chiarito. E’ la seconda denuncia che viene presentata alla Procura di Roma, dopo quella dell’avvocato ed ex sottosegretario Luigi Li Gotti per favoreggiamento e peculato, che viene presentata alla Procura di Roma. Stavolta a firmarla è chi ha subito in prima persona i crimini di guerra e contro l’umanità di cui Almasri è accusato, e testimoniato di fronte alla Corte penale internazionale quanto accadeva nel carcere di Mitiga, a Tripoli.

A dettagliare l’accusa di favoreggiamento, si legge nel comunicato dell’associazione Baobab Experience, che assiste il denunciante con l’avvocato Francesco Romeo, il fatto che il governo Meloni sapesse del mandato fin dal primo momento, almeno stando a quanto ricostruito dall’Aja. Nel comunicato ufficiale di mercoledì 22 gennaio, l’indomani del rimpatrio di Almasri, la Corte penale chiariva che “su richiesta e nel pieno rispetto delle autorità italiane, la Corte si è deliberatamente astenuta dal commentare pubblicamente l’arresto dell’indagato”. In altre parole, sostiene il legale di Lam Magok, il silenzio di Nordio, che ha di fatto impedito la convalida dell’arresto – ha commentato Lam Magok –, “è stato chiaramente funzionale alla liberazione di Almasri”, in violazione della legge di ratifica dello Statuto della Corte penale che impone all’Italia piena collaborazione e rapida esecuzione dell’arresto. Il comunicato dell’Aja, ricorda l’associazione, dimostra che le autorità italiane erano state “coinvolte in una precedente attività di consultazione preventiva e coordinamento volta proprio a garantire l’adeguata ricezione della richiesta della Corte e la sua attuazione”.

“La decisione di adottare il decreto di espulsione da parte del ministro dell’Interno Piantedosi – denuncia l’associazione –, è stata condivisa con la Presidente del Consiglio, come dichiarato e rivendicato da lei stessa in un video pubblicato su Facebook”. Almasri è stato rimpatriato per “motivi di sicurezza dello Stato”. Ma Lam Magok e il suo legale contestano l’espulsione, sottolineando che Almasri è ricercato per crimini in Libia, “dove continuerà a perpetrare violenze”. Ma secondo la giurisprudenza (art. 13 del Testo Unico sull’Immigrazione), l’espulsione per motivi di sicurezza “mira a prevenire reati in Italia e a evitare che la presenza dello straniero favorisca attività terroristiche”. Mente, “non risulta che Almasri abbia mai compiuto attività di tale natura sul territorio nazionale e che ci sia il rischio che possa porle in essere”, dichiara Romeo. “Differentemente i gravi reati di cui Almasri si è macchiato in Libia hanno prodotto un mandato di arresto”.

Lam Magok è arrivato in Italia tre anni fa grazie a un corridoio umanitario della Comunità di Sant’Egidio e oggi è titolare di protezione sussidiaria. E’ attivista dei diritti dei umani da quando era ancora nel Paese Nordafricano, dove ha promosso sit-in di fronte alla sede dell’Unhcr. Da quell’esperienza è nato il movimento Refujees in Libya, che lo vede tra i fondatori. Oggi vive a Roma, ospite di uno dei progetti di inclusione sociale di Baobab Experience, che spiega: “E’ sempre in prima linea e il rilascio di Almasri non poteva certo sfuggirgli”. “Io sono stato vittima e testimone di queste atrocità, orrori che ho già raccontato alla Corte penale internazionale – commenta oggi –, ma il Governo italiano mi ha reso vittima una seconda volta, vanificando la possibilità di ottenere giustizia sia per tutte le persone, come me, sopravvissute alle sue violenze, sia per coloro che ha ucciso, sia per coloro che continueranno a subire torture e abusi per sua mano o sotto il suo comando”. Il 29 gennaio alla Camera, nella conferenza stampa organizzata da Refujees in Libya (video), ha raccontato le atrocità subite nella prigione di Mitiga, da cui riuscì a fuggire grazie a un ragazzo libico in semilibertà e dove subì percosse, scosse elettriche, obbligo di occuparsi dei cadaveri, detenzione in spazi ristretti. Nello stesso ambiente erano stipate fino a 80 persone, senza il posto necessario per dormire tanto che si faceva a turno e i turni di sonno non duravano mai più di due ore. E poi la riduzione in schiavitù e i lavori forzati, a scopi militari e non solo, come le indagini dell’Onu hanno confermato.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti

I nuovi Re di Roma

di Il Fatto Quotidiano 6.50€ Acquista
Articolo Precedente

Marcello Minenna assolto dall’accusa di minacce a un dipendente delle Dogane

next
Articolo Successivo

Almasri, esposto a Perugia contro Li Gotti e Lo Voi: per la Procura non è una notizia di reato

next