Il problema dell’imposizione dei dazi è che spesso scatenano reazioni difficili da controllare e che finiscono per produrre risultati opposti a quelli sperati. Un primo, piccolo, esempio lo si può vedere in ciò che sta accadendo alle criptovalute. Nel giro di due giorni il bitcoin è passato da 100mila a 90mila dollari, un tonfo del 10%. La seconda valuta digitale per diffusione, ossia Ether, è sceso da 2.800 a 2.400 dollari (- 14%). Le vendite sono state innescate dall’annuncio dei dazi americani e le promesse di ritorsione da parte dei paesi colpiti, probabili premesse di un’inflazione in aumento e di una crescita economica in frenata. Utile ricordare che oltre il 90% dei bitcoin fa capo al 2% degli account, non piccoli risparmiatori insomma ma soggetti che si muovono con logiche più studiate e speculative.

Una prospettiva che induce gli investitori ad abbandonare gli asset più rischiosi e volatili (e tra questi ci sono certamente le criptovalute) per spostarsi su prodotti più sicuri. Donald Trump si è presentato alla Casa Bianca promettendo di fare degli Stati Uniti l’hub globale delle monete digitali, ipotizzando di creare una riserva strategica di bitcoin. Non sono estranee a questa conversione di Trump per le cripto, le ingenti somme che l’industria del settore ha elargito alla campagna elettorale del nuovo presidente. La sua elezione aveva innescato un rally di bitcoin & co. ma ora è arrivata una prima doccia fredda

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TRUMP POWER

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