Si sfoglia la margherita attorno al futuro dell’Ilva. Sul tavolo dei commissari sono arrivate tre offerte per rilevare l’intero complesso di impianti del gruppo siderurgico. Con un nodo gigantesco, posto in maniera più o meno formale da tutti i gruppi interessati: il costo dell’energia. A presentare le proposte vincolanti per subentrare alla gestione commissariale – che ha in mano gli stabilimenti dopo il divorzio da ArcelorMittal – sono stati gli azeri di Baku Steel in cordata con Azerbaijan Investment Company, gli indiani di Jindal Steel e il fondo americano Bedrock. Non solo: il governo ha in mano anche altre 7 offerte per singoli impianti, tra cui quella del gruppo Marcegaglia che sarebbe interessato a due tubifici. Marcegaglia corre sia da solo sia in due diverse cordate (con Eusider e Profilmec e con Sideralba). Gli altri Gli altri sono la cordata tra CAR Segnaletica Stradale, Monge &C. e Trans Isole, la sola Eusider, I.M.C., Vitali.
Escono dalla corsa i giapponesi di Nippon Steel e gli ucraini di Metinvest che hanno rinunciato pur avendo perso il proprio principale asset – l’acciaieria di Mariupol – a causa dell’invasione russa. A pesare sulla scelta del gruppo di Kiev potrebbe essere stata l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e quindi il possibile cambio di scenario nel conflitto con Mosca, la cui chiusura – soluzione per la quale spingerebbe la nuova amministrazione – porterebbe Metinvest a concentrarsi sul proprio Paese.
Una chance in meno per il governo Meloni che ha predisposto una gara che al momento non esclude una partecipazione italiana anche se si dovesse procedere con la vendita all-in a uno dei tre gruppi interessati all’intero complesso, la tipologia di vendita che preferirebbero i sindacati metalmeccanici preoccupati dalla cessione a “spezzatino“. È sempre possibile, infatti, la formazione di cordate nelle fasi successive. Di certo, però, sembra essere fuori dai giochi Arvedi, il principale gruppo italiano dell’acciaio a lungo indicato come futuro investitore. Adesso il gruppo di esperti dovrà valutare i principali parametri richiesti dal banco: decarbonizzazione, prezzo (si punta ai 2 miliardi di euro) e salvaguardia dei livelli occupazionali e così discorrendo fino all’affidabilità e al numero di condizioni sospensive applicabili.
Sul tavolo, pare anche formalmente in almeno una delle tre offerte per gli impianti, c’è anche il nodo dei costi energetici. C’è chi avrebbe legato il proprio investimento alla realizzazione di un impianto galleggiante di rigassificazione nel porto di Taranto. Quello del costo per alimentare gli impianti, del resto, fu una delle lamentele maggiori da parte della precedente gestione arrivata ad accumulare debiti importanti con i principali distributori che, in alcuni momenti, arrivarono a minacciare la “discatura” e spinsero Acciaierie d’Italia, la joint venture di Mittal con l’agenzia governativa Invitalia, a rivolgersi a fornitori di ultima istanza.
I tempi di cessione definitiva? Assai più lunghi di quelli sbandierati dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, anche in sedi ufficiali. Il rappresentante del governo aveva garantito il passaggio di mano entro la fine del 2024, ma i tempi – come preventivabile – si sono allungati. Allo stato, l’ipotesi più probabile è che l’iter di vendita si perfezioni entro l’estate. Senza considerare che i nuovi acquirenti dovranno poi trovare un’intesa con i sindacati se l’offerta prescelta dal governo dovesse prevedere un numero di posti di lavoro inferiore rispetto all’attuale perimetro occupazionale. La gatta dell’Ilva è ancora tutta da pelare mentre l’impianto di Taranto continua a lavorare con il minimo inserito, viaggiando a livelli produttivi che si assestano attorno ai 2 milioni di tonnellate all’anno.
“In un passaggio così delicato come la presentazione delle offerte per l’acquisizione degli stabilimenti di Acciaierie d’Italia, la comunicazione deve avvenire non a mezzo stampa ma attraverso il confronto nelle sedi istituzionali, a partire da Palazzo Chigi, con il sindacato e l’azienda”, commenta la Fiom-Cgil in una nota. “Troviamo assolutamente inopportune le comunicazioni a mezzo stampa di chi ha la responsabilità di governare e di confrontarsi con la rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori”. “Vogliamo conoscere al più previsto i dettagli dei piani ambientali, occupazionali e industriali per giudicarne la credibilità e sostenibilità”, chiede dal canto suo Rocco Palombella, segretario generale Uilm. “Dobbiamo notare, purtroppo, che gli imprenditori italiani hanno presentato le offerte solo per singoli stabilimenti e noi rimaniamo fortemente contrari allo spezzatino perché porterebbe alla chiusura dei siti. Il percorso che porterà alla vendita definitiva durerà ancora mesi ma nel frattempo la situazione è drammatica con quasi tremila lavoratori in cassa integrazione, produzione al minimo storico, impianti fermi e l’appalto in forte difficoltà con il ritardo dei pagamenti e degli stipendi dei lavoratori da mesi”. La richiesta è quella della convocazione di un tavolo a Palazzo Chigi con governo e Commissari e di tenere insieme tutela ambientale, piena salvaguardia occupazionale, produzione di acciaio ecosostenibile e di qualità, presenza e controllo dello Stato nella società.