Televisione

Eugenio Franceschini: “Il provino di Emily in Paris andò malissimo. I giovani di oggi vanno stimolati, non riempiti di parole. Lo faccio con i miei due figli”

A FqMagazine l'attore che interpreta Marcello e che irrompe nella vita di Emily

di Andrea Conti
Eugenio Franceschini: “Il provino di Emily in Paris andò malissimo. I giovani di oggi vanno stimolati, non riempiti di parole. Lo faccio con i miei due figli”

C’è un po’ di Italia nella quarta stagione di “Emily in Paris”, disponibile su Netflix. E non è solo l’atmosfera felliniana de “La dolce vita” che d’un tratto diventa protagonista nella serie tv, ma anche per la presenza di Marcello, un giovane ricco e bello, che fa girare la testa alla protagonista. Marcello è Eugenio Franceschini, 33 anni il 19 settembre. L’attore ha alle spalle la partecipazione a film come “Bianca come il latte, rossa come il sangue” di Giacomo Campiotti, “Una famiglia perfetta” di Paolo Genovese e “Io che amo solo te” di Marco Ponti solo per citarne alcuni. In tv invece è apparso ne “I Medici”, dove ha conosciuto l’attuale compagna, e “Màkari”. Intanto è stato tale il successo della quarta stagione che la produzione ha annunciato anche la quinta e c’è da scommettere che Franceschini possa essere riconfermato.

Il tuo ingresso nel cast di “Emily in Paris” come è avvenuto?
Il primo casting l’ho fatto mandando un selftape, come si faceva durante e dopo la pandemia. Stavo girando un’altra serie nel frattempo, non avevo idea di cosa fosse ‘Emily In Paris’, poi ho cercato un po’ in giro e ho capito che si trattava di un progetto grosso. Non pensavo che mi avrebbero chiamato. Il secondo provino, invece, si è svolto sulle Dolomiti in montagna, mentre giravo, con il collegamento la direttrice del casting, il regista e la protagonista Lily Collins…

Hai fatto un provino immerso nella neve?
Sì. Una prova di resistenza. Al di là di incastrare gli orari tra i miei sul set e i loro, alla fine mi sono presentato con la neve fino alle ginocchia, sudato, vestito in maniera improponibile con la fascia da sciatore, i macchinisti che mi passavano davanti e dietro…Inoltre era tutto in inglese.

Com’è andato?
Malissimo. Infatti mi sono detto: ‘È finita qui’. E invece…

E invece?
Il giorno dopo mi hanno dato un’altra chance. Ho preso l’aereo a Venezia, sono andato a Parigi e ho fatto il provino in presenza negli studi della produzione. Direi che, alla fine, è andata bene (ride, ndr).

La quinta stagione di “Emily in Paris” si farà. Ci sarà anche il “tuo” Marcello?
Per come si è conclusa la quarta, ti direi di sì. Ma ancora non so nulla, davvero.

Sulla spalla hai il tatuaggio: “Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni” di Shakespeare. Che significato ha nella tua vita?
L’ho fatto a 17 anni e in quel periodo della vita sei un po’ sognatore. Nella mia vita sono successe tantissime cose belle e brutte. Sono diventato padre presto, ho due figli, ho avuto una vita piena e intensa nonostante i miei 33 anni. Prima ero pieno di sogni, pensieri, illusioni per fantasticare. Tutte cose che mi davano grande forza ed energia.

Sei ancora un sognatore?
Un po’ si, ma ho imparato tanto dalla vita e quindi cerco di incanalare questa caratteristica in un modo più concreto. Non basta fantasticare.

Il tuo collega Pierpaolo Spollon ha detto ad una platea di studenti: “Il momento di imparare a sbagliare è questo”. Sei d’accordo?
Bisogna trovare un equilibrio perché nella vita si vince e si perde in egual misura. Ho avuto tantissime delusioni e mi sono servite. In questa generazione vedo altro…

Cosa?
Gli adolescenti di oggi hanno una attitudine a perdere, tendono alla disillusione con meno voglia di vincere, fare cose nella vita…

Secondo te come mai i giovani sono disillusi?
Si spreca un sacco di tempo a parlare di loro. Bisogna riempire le vite delle persone di cose e non di parole. Io cerco di riempire la vita dei miei figli con stimoli continui. Credo che più sono stimolati i giovani e più voglia hanno di riempire la loro vita. Bisogna provare ad abituarsi al fallimento, ma anche anche alla vittoria, alla riuscita.

“Ero un bambino ubbidiente. A quindici anni ho avuto un’esplosione”. Cosa è successo dopo?
Ho vissuto una bella infanzia fino alle medie perché sono cresciuto tra i burattini, le maschere e ho vissuto in un mondo fantastico coi miei genitori che erano attori. All’improvviso quando mi sono staccato dalla bellezza e dalla fantasia, mi sono relazionato con la vita normale e quotidiana. Al Liceo a Verona è cambiato tutto. Ero abbastanza bravo, ma non eccellevo. In quel periodo non ho fatto altro che riempire la mia vita. Fino a 18 anni quando sono andato via di casa e mi sono trasferito a Roma.

Roma cosa ha rappresentato per te?
Passare da un paese ad una metropoli con milioni di abitanti è stata un’altra rivoluzione. Ho frequentato il Centro Sperimentale di cinematografia nove ore al giorno. Passavo tutto il tempo a recitare. Sono stati gli anni più belli che io abbia vissuto.

Qual è il tuo obbiettivo artistico?
Recuperare la nostra commedia dell’arte. Così come nel Regno Unito tengono viva la memoria di Shakespeare e lo esportano nel mondo, così dovremmo fare noi con le nostra straordinarie maschere come Arlecchino o Pulcinella. Due personaggi dal carattere fortissimo, furbi in modo diverso, in bilico tra ironia ferocia e voglia di fregarti i soldi sotto al naso. Secondo me se li trasportassimo nell’attualità sarebbero davvero una rivelazione. Abbiamo un patrimonio immenso da sfruttare.

Ti senti più Arlecchino furbo e mascalzone o Pulcinella ironico e tagliente?
Senza dubbio Arlecchino. Un giorno voglio interpretarlo!

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