Cinema

Peter Weir, la Cinématèque incorona il regista de L’attimo fuggente e Truman show: “Harrison Ford stanco di Star Wars volle interpretare Witness”

di Davide Turrini

Un australiano a Parigi. Metti fisicamente Peter Weir – il regista de L’attimo fuggente e The Truman show – una settimana intera ospite della Cinématèque Française per presentare otto suoi film, e registri code di spettatori per mezzo Quai de Bercy. 79 anni, undici film girati in 35 anni di carriera, un bicchiere di cabernet tra le dita e un panama elegante che sa un po’ d’intruso tra i vezzi bobò parigini, Weir si è spostato eccezionalmente dalla sua magione australiana dove è rintanato da tempo con la moglie, lontano dal mondo ipertecnologico (lo smartphone l’ha acquistato nel 2022 e Whatsapp non sa nemmeno di averlo, usa comunicare con lettere cartacee) abbracciando la filosofia di una riservata autosufficienza e di una integrità morale e professionale tutta da insegnare ai bercianti “registi” contemporanei.

Una narrazione intima e tumultuosa – Un’eccezione in presenza, Weir, la fece per l’Oscar onorario alla carriera che l’Academy gli assegnò nel 2022. Sia mai che non ci lasci all’improvviso. In fondo, cosa volete che siano film come Picnic ad Hanging Rock, Gallipoli/Gli anni spezzati, Witness o Master and Commander, con il loro piacere della narrazione intima e tumultuosa, con la loro raffinata progettazione creativa e la loro naturalezza dell’inquadratura (cadrage alla Cinemateque) rispetto ai “capolavori” dell’oggi come Barbie o Everything Everywhere all at once. Weir ha sempre costruito un cinema pulito, di una sgorgante e intensa umanità, di una devastante potenza visiva. Chi non era tra le aule di Welton a piangere sul finale de L’attimo fuggente? Chi non era sulla barca assieme a Truman (Jim Carrey), quando buca il fondale di cartapesta di quel mondo di plastica che ci osserva, controlla, obbliga a non essere più liberi sulla faccia della Terra?

“Filmare l’anima” s’intitolava uno dei rarissimi saggi – scritto da Massimo Benvegnù, qui tra gli organizzatori dell’evento e della presenza del regista a Parigi – dedicati al direttore australiano. Perché, cosa ha fatto Weir in tutti questi anni se non osservare minuziosamente l’anima dell’individuo compresso in regole e muri sociali che ne cancellano la vitale, irripetibile identità e passione? “Il protagonista di Mosquito Coast (film di Weir dimenticato, nascosto, da recuperare subito, prima di adesso ndr) sono io”, ha spiegato Weir a Le Monde. “Il cineasta straniero sbarcato in America come davanti a un mondo sconosciuto. Sia chiaro, non avevo problemi a lavorare là, ma nei contratti obbligavo i produttori ad una clausola fondamentale: montare i film a casa mia in Australia e non rimanere a Los Angeles tutto l’anno. Ci tengo a rimanere uno straniero”.

Ecco, attenzione. “Straniero” inteso come qualcuno che preferisce non mescolarsi nei salamelecchi di un industria culturale del “tutti amici”, come sottolineare le proprie origini culturali senza cancellarle in un generico globalismo dello showbiz. In fondo, alla fine degli anni sessanta, quando Weir è tornato a Sydney dopo il classico libertario tour di formazione in Europa tra Grecia, Inghilterra e Francia, con l’idea di fare l’attore, l’industria del cinema in Australia nemmeno c’era.

Gibson, Ford, Crowe e Williams – Nel 1975 con Picnic ad Hanging Rock, Weir lascia tutti senza fiato con quelle accaldate fanciulle di un compunto collegio che scompaiono senza motivo tra le ruvide assolate rocce australiane (“adoravo che nel libro da cui il film è tratto non ci fosse spiegazione di quelle sparizioni”); poi si immerge in un’altra esplorazione del mistero e dalla sacralità magica aborigena con L’ultima onda; raccoglie il connazionale Mel Gibson e lo deposita sulla soglia del successo (Gallipoli e Un anno vissuto pericolosamente); infine è pronto per diventare tra i cineasti più quotati di Hollywood anche grazie all’incontro con Harrison Ford che con lui interpreterà sia il poliziotto in fuga che si nasconde nella comunità amish, sia l’altro uomo in fuga nelle giungla del Centro America di Mosquito Coast. “Per la parte di John Book in Witness c’era anche l’ipotesi Paul Newman”, ha spiegato Weir a Le Figaro. “Poi quando Ford si è detto interessato allo script ho preso il primo volo dall’Australia e sono andato a casa sua, nel suo ranch. Abbiamo passeggiato molto e passavamo continuamente davanti a vetrine piene di figurine di Star Wars. Lui mi diceva tra il rassegnato e l’indifferente: “Sono dappertutto”.

Ancora grandi attori per grandissimi film: Robin Williams ne L’attimo fuggente che ci capita quasi per caso, Gerard Depardieu per Green Card (“quello che scrive la stampa sulla sua condotta sessuale non corrisponde a quello che è lui”), Jim Carrey per Truman Show e Russell Crowe per l’incredibile epica avventura di Master and commander. “Il final cut credo di averlo avuto senza averlo mai chiesto. Pensate che il dirigente di una casa di produzione aveva scritto una backstory da girare sulla terraferma per tutti i personaggi di Master and commander. Voleva girare a Londra delle sequenze per saperne di più sul background dei protagonisti della missione in mare. Mi sono rifiutato. Questo film andava girato tutto in mare. Ho subito una notevole pressione dalla produzione, ma ha un certo punto ho detto: So che il denaro è vostro, ma le vostre richieste farebbero inabissare il film. Fortunatamente hanno rinunciato”. E per fortuna che nella storia del cinema c’è stato Peter Weir.

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