I militari del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Milano, con i colleghi del Nucleo speciale tutela privacy e frodi di Roma, hanno notificato un provvedimento di sequestro per quasi 322 milioni di euro nel secondo filone dell’indagine milanese, aperta nel 2018, su una maxi truffa attraverso i servizi di telefonia che questa volta ruota attorno a Tim, azienda che non è indagata. Il decreto di sequestro, firmato dal gip su richiesta dei pm, riguarda altre 5 società che con l’azienda di tlc – a cui sono stati congelati quasi 250 milioni – avrebbero venduto cosiddetti “servizi vas”. Gli indagati sono oltre 20. In questo secondo filone dell’indagine gli indagati, tra i quali alcuni all’epoca dipendenti Tim senza ruoli apicali, rispondono di frode informatica (articolo 640 ter del codice penale). Il decreto di sequestro al netto dei circa 250 milioni di Tim, riguarda altri 70 milioni e oltre di euro spalmati su cinque società con sedi tra Milano, Roma, Torino e Madrid, che avrebbero realizzato e lavorato per la vendita dei servizi aggiuntivi a pagamento e non richiesti dai clienti.

Le indagini “hanno disvelato come fosse sufficiente visitare una pagina web o consultare un app con il proprio cellulare, talvolta con l’inganno di fraudolenti banner pubblicitari e, senza far nulla (cosiddetto ‘O-Click’), per ritrovarsi istantaneamente abbonati a servizi che prevedono il pagamento di un canone settimanale o mensile”, spiega il procuratore Marcello Viola. Un “business da svariati milioni di euro che ha tratto ulteriore profitto anche dalle attivazioni dei servizi Vas sulle connessioni mobili usate tra macchine per lo scambio di dati, senza intervento umano (le cosiddette ‘machine to machinè, M2m, ad esempio gli impianti di allarme, domotica)”.

Tim scrive in una nota di avere appreso con “sorpresa dagli organi di stampa della richiesta di sequestro, presentata dalla Procura di Milano e concessa dal Gip del Tribunale di Milano, in relazione al fenomeno delle attivazioni irregolari dei servizi di valore aggiunto, la quale interviene a oltre cinque anni dai fatti per cui si procede”. La società confida pertanto che “ogni aspetto della presente vicenda sarà chiarito nei tempi più brevi”. La società, sin dal 2019, non appena ha avuto “contezza di irregolarità, ha proceduto di propria iniziativa a segnalare i fatti alla Procura di Roma, la quale, all’esito del procedimento, ha qualificato i fatti come truffe ai danni di Tim”, spiega ancora la nota. Tim ha altresì “tempestivamente adottato ogni iniziativa per tutelare la propria clientela, provvedendo, tra il 2019 e il 2020, al rimborso di tutte le attivazioni irregolari di cui ha avuto contezza e al blocco dei servizi a valore aggiunto risultati interessati da attivazioni irregolari”.

La prima tranche dell’inchiesta, aperta nel 2018 e da qualche mese al centro di un processo che si sta celebrando davanti al Tribunale di Milano, ruotava attorno a WindTre, società anch’essa mai indagata ma che ora è citata come responsabile civile nel dibattimento in cui sono imputati alcuni dei suoi ex manager. Anche in questo caso la presunta truffa da circa 99 milioni aveva portato a rilevanti sequestri e, oltre al processo di primo grado (per l’imputazione di tentata estorsione contrattuale si deve ricelebrare l’udienza preliminare), a sette patteggiamenti e ad una restituzione di 18,5 milioni di euro. La Procura aveva ipotizzato un sistema illecito che, tra il 2017 e il 2020, avrebbe consentito una “media di 30/40mila attivazioni” indebite “al giorno” di “servizi premium, cosiddetti Vas”, ossia giochi, oroscopi, suonerie, per “ignari consumatori che si vedevano addebitare i relativi costi pari a 5 euro a settimana”.

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