Due anni e due mesi. È la pena inflitta a Giovanna Boda, ex capo dipartimento del ministero dell’Istruzione, finita a processo per corruzione in relazione agli appalti del Miur. La dirigente aveva scelto il rito abbreviato, quindi ha beneficiato dello sconto di un terzo della pena. Insieme a lei, in accoglimento alle richieste dell’accusa, è stato condannato anche un altro imputato a 3 anni e 4 mesi, mentre sono state disposte tre assoluzioni perché il fatto non sussiste e per non aver commesso il fatto.

Nella sua requisitoria il pm Carlo Villani aveva valutato la collaborazione data da Boda alle indagini, sottolineando come la ex funzionaria sia stata “offuscata dal potere che l’ha portata a un delirio di onnipotenza”. Secondo l’accusa, Boda, incaricata della realizzazione delle procedure per selezionare progetti scolastici, riceveva ”indebitamente” “la dazione e la promessa delle somme di denaro e delle utilità per sé e per terzi per un totale di oltre 3,2 milioni di euro per l’esercizio delle sue funzioni e/o dei suoi poteri nonché per il compimento di una pluralità di atti contrari ai doveri di ufficio” da Federico Bianchi Di Castelbianco, ex editore dell’agenzia Dire, a processo con rito ordinario insieme ad altre 8 persone.

Nell’atto di accusa i pm contestano a Boda anche di aver rivelato a Bianchi di Castelbianco “notizie d’ufficio che avrebbero dovuto rimanere segrete”. In particolare, “anticipava via e-mail” all’imprenditore “prima della sua pubblicazione, la bozza del bando per il finanziamento di progetti scolastici per il contrasto della povertà educativa, e invitava e lo faceva partecipare a riunioni tenutesi presso il Ministero nelle quali si doveva decidere la ripartizione dei finanziamenti alle scuole”, il tutto “demandando anche allo stesso imprenditore la decisione finale su tale suddivisione”.

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