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Parliamo di Pippo Fava con il nostro lavoro: da quarant’anni combattiamo chi l’ha ammazzato

Parliamo di Pippo Fava con il nostro lavoro: da quarant’anni combattiamo chi l’ha ammazzato
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“I Siciliani vengono avanti nel grande spazio della informazione e della cultura…” (22 dicembre 1982)

“I mafiosi sono in ben altri luoghi e in ben altre assemblee. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione” (28 dicembre 1983)

“Hanno ammazzato Pippo Fava” (5 gennaio 1984)

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Fra queste tre date si dipana la vita di un uomo e anche, a nostra insaputa, la vita di tanti di noi. Quelli che l’avevano conosciuto, quelli che ne avevano sentito parlare, quelli che odiavano lui e tutte le cose che rappresentava, quelli che non erano ancor nati ma l’avrebbero riconosciuto dai racconti.

Ma oggi non parleremo di queste cose, non parleremo di Pippo Fava. E cosa potremmo dire, che parole? No. Oggi lavoreremo come tutti gli altri giorni, giovani e vecchi. Da quarant’anni siamo qui, o aspettavamo di esserci; o da anche solo da pochi mesi: non aspettatevi parole nuove, né profondi discorsi.

Noi siamo qui come sempre, senza niente di nuovo (eppure, se c’è qualcosa di nuovo, è ciò che rinasce ogni giorno in ciascuno di noi). Noi siamo contro la mafia. La mafia non è quattro delinquenti, è un potere. La mafia non sta al sud o al nord, la mafia sta in Italia, che è l’unica nazione a averla così dentro, e l’unica dove sia stata tanto combattuta.

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Non l’hanno ammazzato “i mafiosi”. L’ha ammazzato un potere, che è ancora qui e comanda ancora. Noi lo sappiamo, non chiediamo tregua e non ne diamo. Diciamo ai vecchi: “tornate qui, e combattete”. Ai giovani: “Come potete vivere, se non avete il coraggio di lottare?”

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