L’Unione europea interviene dopo l’ufficializzazione di un protocollo d’intesa per la gestione da parte dell’Albania di una parte dei migranti tratti in salvo dalle navi di Marina Militare e Guardia di Finanza. Lo fa chiedendo chiarimenti sulle specifiche dell’accordo, trattandosi di un’intesa che, comunque, dovrà rispettare le disposizioni previste dagli Accordi di Dublino in vigore e che non gode di precedenti storici che permettano di fare dei paralleli. “Siamo in contatto con le autorità italiane, abbiamo chiesto di ricevere dettagli sull’accordo per la migrazione con l’Albania”, ha chiarito una portavoce della Commissione europea durante il consueto midday briefing con la stampa. “Prima di commentare oltre dobbiamo capire cosa s’intende fare esattamente”.

Ciò che si capisce dalle dichiarazioni della Commissione è che l’accordo tra Roma e Tirana è stato siglato senza interpellare l’Ue: “Siamo stati informati dell’accordo Italia-Albania prima dell’annuncio“, ha spiegato la portavoce lasciando intendere che anche nelle istituzioni brussellesi si attende di conoscere i dettagli del documento. Anche se, stando alle informazioni circolate e alle dichiarazioni dei due capi di governo, “l’accordo sembra diverso da quello tra Gran Bretagna e Rwanda“.

Bruxelles vuole ovviamente verificare se tra i punti dell’accordo non emergano violazioni degli Accordi di Dublino, dato che si tratta di un patto con uno Stato terzo. Un’indicazione in questo senso arriva da una delle precisazioni presenti nel testo, da quanto si apprende: i migranti che potranno essere trasferiti nei due centri pensati per l’accoglienza temporanea in Albania, in attesa della valutazione della loro domanda di protezione internazionale, sono solo quelli soccorsi in mare dalle navi delle autorità italiane. Questo potrebbe far sì che l’Italia, pur assumendosi tutte le responsabilità della gestione di queste persone anche in territorio albanese, non risulti Paese di primo approdo e non sia quindi costretta a gestire tutto l’iter di valutazione dei singoli casi sul suolo nazionale. Il fatto che lo sbarco avvenga in un Paese terzo, ma non quello di partenza dei naufraghi, dovrebbe evitare a Roma anche l’accusa di respingimenti illegali in mare. Anche perché, come precisato da Edi Rama a Il Fatto Quotidiano, nel caso in cui la domanda di asilo dovesse essere respinta, all’Italia rimangono due opzioni: rimpatriare queste persone o riaccoglierle in territorio italiano.

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