È una specie di presa a tenaglia quella che si sta verificando in queste settimane sui costi energetici. Da un lato il petrolio mette nel mirino quota 100 dollari al barile, dall’altro il gas ritorna su quotazioni faticose da sopportare per le tasche di famiglie e alcune tipologie di imprese. Ad Amsterdam, mercato di riferimento per l’Europa, il prezzo del gas è salito al di sopra dei 42 euro al megawatt ora. Sono quotazioni lontane dai picchi stratosferici raggiunte un anno fa ma che rimangono comunque circa doppie rispetto a valori considerati “normali” prima che scoppiasse la guerra in Ucraina. L’opera di sostituzione del gas russo continua ma ha un costo. Il gas liquefatto che arriva via nave, per lo più da Stati Unite e Qatar (ma anche dalla stessa Russia), costa molto di più di quello immesso nei gasdotti russi. Conforta il fatto che gli stoccaggi europei, inclusi italiani, siano praticamente pieni con largo anticipo rispetto all’inizio della stagione invernale. Ma quella delle riserve è una polizza assicurativa che non copre tutti i rischi e da sola non è sufficiente a frenare i prezzi.

Il petrolio è in costante crescita da quasi un mese, dopo che Arabia Saudita e Russia (primo e terzo esportatore al mondo) hanno deciso di prorogare i tagli alla produzione. Il brent scambiato a Londra che fa da riferimento per i mercati europei, oscilla intorno ai 95 dollari al barile ossia 20 dollari in più rispetto all’inizio dell’estate. Diversi analisti e petrolieri scommettono su quotazioni sopra i 100 dollari ed oltre nel giro di poche settimane. Come se non bastasse la Russia ha deciso di bloccare temporaneamente le esportazioni di benzina e gasolio, privando il mercato di quasi il 4% delle forniture in un momento in cui le raffinerie già faticano a soddisfare la domanda e con listini dei distributori dei carburanti che salgono a vista d’occhio.

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