Qualcuno si diceva certo già il 23 marzo dello scorso anno che avrebbero avuto un “impatto devastante” sull’economia russa. Anzi: “Lo stanno già avendo”. L’Unione Europea, sosteneva assertiva la presidente Ursula von der Leyen, renderà “impossibile” a Vladimir Putin “continuare con la azione”. A distanza di un anno e mezzo da quei giorni, i primi dell’invasione russa in Ucraina, adesso Bruxelles ha un problema. Perché a dire chiaramente che le sanzioni non stanno sortendo gli effetti sperati è la Germania per bocca della sua ministra degli Esteri Annalena Baerbock.

Per contestualizzare le sue parole, bisogna ricordare che Berlino è in recessione e ha annunciato un rallentamento degli investimenti militari rispetto all’obiettivo del 2% del Pil. Si può spiegare anche così quanto ha detto la ministra nel libro Ernstfall: Regieren in Zeiten des Krieges della giornalista Stephan Lamby: “In generale le sanzioni economiche dovrebbero avere un effetto sull’economia. Ma non è così”, ha scritto il Deutsche Welle citando le parole di Baerbock. “Abbiamo imparato che non è possibile porre fine alla guerra attraverso soluzioni razionali, misure razionali concordate dai governi civili”, ha aggiunto, sottolineando che la logica che funziona nei Paesi democratici non può essere applicata ai regimi autocratici. Insomma, le sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia per la sua aggressione contro l’Ucraina non sono sufficientemente efficaci.

Frasi limpide che cozzano che le dichiarazioni altisonanti dei primi mesi di guerra. “Sono le più dure mai comminate e in qualche giorno porteranno al collasso l’economia russa”, affermava Enrico Letta il 5 marzo 2022 definendole “veramente devastanti”. Una settimana dopo, l’ex premier aveva in parte cambiato idea: “Bisogna resistere, far sì che ci sia il tempo perché le sanzioni facciano il loro corso”. Ma era ancora sicuro che le sanzioni “metteranno in ginocchio Putin e la Russia di Putin”. L’Unione Europea era un sol coro a fine marzo dello scorso anno. Il commissario all’Economia Paolo Gentiloni non aveva alcun dubbio: avrebbero avuto “un impatto devastante sull’economia russa e già lo stanno avendo, con il rublo crollato del 40% sul dollaro e le previsioni per una recessione e un’inflazione a doppia cifra”.

La strada del resto era stata spianata il 24 febbraio precedente da von der Leyen: “L’Ue renderà al Cremlino impossibile continuare con la azione. Più tardi presenteremo un pacchetto di sanzioni massicce e mirate. Saranno sanzioni finanziarie molto dure, avranno un impatto molto pesante sull’economia russa e andranno a sopprimere la crescita della Russia, ad erodere la sua base industriale. Vedremo molti capitali uscire dal Paese. Limiteremo l’accesso di Mosca alle tecnologie chiave”. L’obiettivo è riuscito a metà. Hanno avuto un impatto economico, la base industriale erosa, molti capitali usciti dal Paese e le tecnologie chiave sono state limitate. Ma il Cremlino, a distanza di 18 mesi, sta continuando la sua azione. Sull’efficacia non nutriva alcun dubbio anche l’Alto Rappresentante per la Politica Estera Ue, Josep Borrell: “Le sanzioni faranno molto male alla Russia”, diceva il 22 febbraio mentre Putin si preparava a violare l’integrità territoriale di Kiev.

A qualche politico, in realtà, il dubbio era venuto. La ministra delle Finanze svedese Elisabeth Svantesson, il 14 febbraio 2023, aveva mostrato scetticismo: “Credo che dobbiamo essere onesti. Sappiamo che le sanzioni alla Russia hanno degli effetti, ma non sappiamo esattamente quali essi siano”. Mentre l’Ispi era sempre rimasto sul chi va là: “Le sanzioni funzionano? – si chiedeva il 24 febbraio dello scorso anno – Poco, e solo a certe particolari condizioni. Attingendo all’esperienza di oltre un secolo di storia, dalla Prima guerra mondiale ai giorni nostri, si scopre che le sanzioni economiche hanno raggiunto il loro obiettivo solo un terzo delle volte. E ancora meno spesso (il 25%) quando lo scopo era quello di dissuadere o fare cessare azioni militari”. Più o meno il pensiero della ministra degli Esteri tedesca a diciotto mesi di distanza. Più che un’ammissione di aver sbagliato valutazione, un avviso all’Unione Europea.

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