La campagna per l’accettazione dei corpi delle donne su Abbatto i muri ha raccolto non solo molti contributi ma anche tanti lamentosi segnalatori di professione che hanno messo la pulce nell’orecchio dei bot moderatori di Facebook che hanno scandagliato la pagina per trovare qualunque cosa potesse essere non in linea con le loro regole. Hanno trovato una foto, riferita al madamato, attività illecita dei fascisti coloniali (citando Antonella Ripani da “prima gli esseri umani”). Non solo l’hanno censurata ma è diventato motivo per restrizioni al mio profilo, alla pagina, con minacce di chiusura della stessa. La motivazione che adducono è calunniosa quanto fantascientifica.

Intanto affermano che la pagina non sia raccomandabile. Poi dicono che la pagina è a rischio. Infine che la foto condivisa sarebbe in violazione delle loro regole in “materia di sfruttamento sessuale”. Dunque accusano me di aver sfruttato una donna che veniva sfruttata e stuprata dai fascisti. Come dire che se pubblicassi foto di ebrei nudi ritrovati nei campi di concentramento censurerebbero e mi accuserebbero di fare divulgazione di materiale pornografico.

Il fatto che la memoria storica, solo quella fascista, possa essere oggetto di cotanta pudica attenzione da parte di Facebook, i cui algoritmi si accaniscono su una pagina femminista che lotta contro lo stupro, la cultura dello stupro, lo sfruttamento sessuale di qualunque donna, includendo le donne colonizzate e sfruttate sessualmente e stuprate dai fascisti, fa ben comprendere quanto oramai i social network, oltre a filtrare contenuti sulla base dei loro investitori maggioritari, siano all’origine di una nuova e preoccupante cultura morale che censura la storia, la memoria, il femminismo, le lotte delle donne, la lotta contro la cultura dello stupro, la lotta contro il body shaming che è sicuramente motivazione per cui bulli maschilisti si sono dati tanto da fare a segnalare la pagina. Farla sparire, ridurla al silenzio.

Non sono solo io a dirlo ma gli stessi sviluppatori o ex moderatori che hanno parlato nel documentario su Netflix The social Dilemma. Lo dice anche Jaron Lanier nel suo libro Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social.

Non pubblico qui la foto censurata perché non vorrei che Il Fatto quotidiano incorresse in conseguenze altrettanto devastanti ma vi invito a riflettere sul fatto che il potere consentito ai social è eccessivo. Non solo noi siamo lavoratori non pagati, la cui presenza garantisce introiti pubblicitari all’azienda, ma dobbiamo anche preoccuparci della nostra privacy: sapete che vengono raccolti dati di ogni tipo e che hanno aggiunto come motivo di censura anche quello che parla di serenità degli utenti, per garantire la quale si censureranno i contenuti di tutte le persone che vorranno parlare di depressione, tentato suicidio, autolesionismo. Se una autolesionista ha un trauma come uno stupro: la morale facebookiana stabilisce che toglie serenità agli utenti.

Diverso è l’atteggiamento degli algoritmi se segnali un omofobo, un razzista, un antisemita, un misogino, un fascista. Non violano mai le linee guida, questa la risposta. Ne deriva che la morale di un social vale quanto l’ultimo pallino di sporcizia che tiro fuori dal naso: niente. Ma ci influenza, influenza il nostro modo di pensare e ci censura, tutte.

La pagina di Abbatto i muri è da sempre pensata per raccogliere le storie di donne che raccontano traumi e vicende dolorose. E’ uno spazio che ho curato con attenzione e con empatia. Se i social non vogliono uno spazio del genere si tengano gli spazi nazi-fascisti e razzisti, misogini e pieni di donne tratte da cartellonistica per camionisti sulle quali fare battute da bulli stupratori. Non andrò in giro per il mondo incerottando il mio capezzolo perché solo quello femminile offende i censori social. Non mi negherò il diritto di ricordare e di ascoltare storie di donne traumatizzate per far piacere agli utenti misogini che segnalano la pagina. Non censurerò il mio diritto di espressione sul nazifascismo e sul fascismo coloniale, fatto di pedofili che usavano le ragazzine nelle colonie africane per sfruttarle sessualmente.

Facebook può anche valere tanto in quotazioni ma in termini di reputazione e irreprensibilità aziendale perde ogni volta che agisce in maniera equivoca. Per quel che mi riguarda l’accusa di sfruttamento sessuale per adulti riferita ad una foto in cui un fascista molesta una donna africana mi offende molto. È l’accusa più infamante che si poteva tirar fuori. Parlerò con un legale per capire se posso fare qualcosa per difendermi. Per il resto: non mi avrete mai, voi e la vostra social moralità d’accatto.

Se chiudete la pagina farò altro, di certo non smetterò di lottare con le donne e per le donne.

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