Rimodulare” il concorso esterno in associazione mafiosa, il reato dei politici alleati coi clan, la fattispecie per cui sono stati condannati in via definitiva Marcello dell’Utri, Nicola Cosentino e Antonio D’Alì ed è imputato (in due processi) un altro ex politico di Forza Italia, Giancarlo Pittelli. Ecco la nuova idea criminogena del ministro della Giustizia Carlo Nordio, lanciata – quasi di nascosto – tra le pieghe di una lunga intervista a Libero. Nel colloquio, dopo che il Guardasigilli si è detto “certo” che l’abolizione dell’abuso d’ufficio (prevista nel suo ddl di riforma penale) reggerà alla prova del Parlamento, l’intervistatrice Hoara Borselli lo tenta: “E non andrebbe cancellato anche il reato fantasma, quello di concorso esterno?”, domanda. E Nordio non si fa pregare: “Sul concorso esterno, la Commissione per la riforma del codice penale che è stata istituita nel 2002 (dal secondo governo Berlusconi, ndr) e da me indegnamente presieduta aveva all’unanimità deciso che il concorso esterno in associazione mafiosa fosse un reato evanescente e andasse completamente rimodulato secondo i criteri del concorso di persona nel reato”, ricorda. “Quindi, in prospettiva, andrà rimodulato”, promette, aggiungendo la solita clausola: “Naturalmente senza interferire minimamente sulla lotta alla mafia o ridurla”.

In realtà il concorso esterno è stato inventato dalla giurisprudenza proprio “sommando” la disciplina del concorso di persone nel reato (articolo 110 del codice penale) al reato di associazione mafiosa (articolo 416-bis), che già di per sé è “a concorso necessario”, cioè per natura commesso da più soggetti. La fattispecie venne di fatto “inventata” con l’ordinanza-sentenza del primo Maxi-processo contro Cosa nostra, istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, considerato un riferimento ideologico di Fratelli d’Italia, il partito di cui fa parte il ministro Nordio. Lo scopo era di coprire le zone grigie di collusione con la mafia, distinguendo “la situazione di chi entra a far parte di un’organizzazione, condividendone vita e obiettivi, e quella di chi, pur non entrando a farne parte, apporta dall’esterno un contributo rilevante” al raggiungimento dei suoi scopi, come politici e colletti bianchi. Il caso di Dell’Utri è paradigmatico: l’ex senatore e braccio destro di Silvio Berlusconi è stato condannato a sette anni di carcere con sentenza definitiva perché, “garantendo la continuità dei pagamenti di Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore, ha consapevolmente e volontariamente fornito un contributo causale determinante (…) alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale, del suo programma criminoso“, ha scritto la Suprema corte nelle motivazioni. Idem per D’Alì, già senatore di Forza Italia e Nuovo centrodestra e sottosegretario agli Interni tra il 2001 e il 2006: “Ha manifestato la propria disponibilità verso Cosa nostra dai primi anni ’80 del secolo scorso fino agli inizi del 2006“, si legge nella sentenza della Corte d’Appello di Palermo che lo ha condannato a sei anni, confermata il 13 dicembre scorso dalla Cassazione.

Queste sentenze sono definitive, ma nemmeno così sono al riparo dai piani di restaurazione. Se infatti Nordio riscrivesse il 416-bis in modo da escludere il concorso esterno, o da limitarlo a casi molto ridotti (per esempio prevedendo la necessità che il “concorrente esterno” compia un reato-fine dell’associazione) si verificherebbe un’abolitio criminis, un’abolizione del reato, che in base all’articolo 2 del codice penale fa cessare anche gli effetti delle condanne passate in giudicato. Così D’Alì e Cosentino uscirebbero dal carcere, mentre Dell’Utri (che ha già scontato la pena) avrebbe la fedina penale ripulita. Ma a beneficiarne sarebbe anche chi è ancora sotto processo per concorso esterno, come Giancarlo Pittelli, avvocato massone ed ex parlamentare di Forza Italia arrestato a fine 2019 nell’operazione Rinascita-Scott: nell’ordinanza che ha applicato le misure cautelari è stato descritto come un uomo-cerniera “in grado di far relazionare la ‘ndrangheta con i circuiti bancari, con le società straniere, con le università, con le istituzioni tutte, fungendo da passepartout” della cosca Mancuso di Limbadi. L’8 giugno scorso, in udienza, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ha chiesto per lui la condanna a 17 anni di carcere. Peraltro Pittelli è imputato (ed era stato arrestato) per concorso esterno anche nel processo Mala Pigna, nato da un’indagine della Derezione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, in cui è accusato di essere stato il “faccendiere di riferimento” della cosca Piromalli, tra l’altro facendo da “postino” che veicolava informazioni all’interno e all’esterno del carcere tra i capi detenuti. Per il ministro della Giustizia, però, il reato che gli viene contestato è “evanescente”. E promette di smantellarlo, ma, sia ben chiaro, “senza interferire sulla lotta alla mafia”. Se ne è convinto lui.

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