Oltre al danno di un compromesso infelice, la beffa di doverlo difendere, per di più con gli alleati Morawiecki e Orban che alla fine non hanno accettato. Chi l’avrebbe detto? E se un anno fa, in campagna elettorale, invece di gridare “blocco navale subito” Giorgia Meloni avesse promesso “nessun obbligo di ricollocazione per gli altri Paesi europei e complicati tentativi di accordo con gli Stati africani”? Cosa avrebbero pensato i suoi elettori? Con tutta probabilità che si trattava di uno scherzo. Eppure, a un’estate di distanza l’orizzonte del suo governo è tutto qui, mentre gli sbarchi hanno superato quota 61 mila (al 28 giugno), più del doppio rispetto ai primi sei mesi dell’anno scorso. “Negli ultimi otto mesi l’Europa ha cambiato approccio”, ha rivendicato Meloni prima di partire alla volta del Consiglio europeo, dove però la questione migranti non trova la quadra per i veti di Polonia e Ungheria, contrari alla “solidarietà obbligatoria” sulla quale gli altri si sono accordati a inizio giugno. Una accordo che non obbliga nessuno a ricollocare anche uno solo dei migranti che arriveranno in Italia, e che pure tocca difendere perché al nostro governo servono i soldi dell’Europa per scommettere sulla collaborazione dei Paesi africani. Ma se Meloni vuole i soldi per comprare i servizi degli Stati extra Ue, sembrano dire gli altri partner europei, se li guadagnasse. A partire dall’impresa di convincere i suoi cari alleati Morawiecki e Orban nella fallimentare mediazione che la presidenza del Consiglio Ue ha voluto affidare proprio a Giorgia Meloni. “Non sono delusa dal no di Polonia e Ungheria”, ha detto Meloni, intestandosi così il fallimento della mediazione su un accordo già povero per gli interessi dell’Italia. Alla fine ci si accontenta di lasciare il Consiglio “da protagonisti”, rilanciando il nuovo slogan della “dimensione esterna”: “Se la Ue offre una scelta alle popolazioni che tentano di lasciare l’Africa si cambia approccio”. Peccato che già l’offerta fatta alla Tunisia stenti a decollare.

Giorgia Meloni si è dovuta assentare dai lavori del Consiglio per incontrare i suoi storici alleati, il polacco Mateus Morawiecki e l’ungherese Viktor Orban, e cercare di farli ragionare. Del resto, il suo governo si è già rivenduto come un successo l’accordo che lascia l’Italia a bocca vuota sul fronte della solidarietà europea. Un cambio di approccio, ha detto Meloni, che ha finalmente reso quello dell’immigrazione un problema di tutti che va affrontato a partire dalla “dimensione esterna”, cioè scommettendo che i Paesi di transito accetteranno di bloccare o confinare i migranti in cambio di soldi. Un’altra versione della storia dice che il cerino è rimasto ancora una volta in mano all’Italia. Chi mente sapendo di mentire non dice che le soluzioni inserite nel Patto immigrazione e asilo, sulle quali dovrà esprimersi il Parlamento europeo, ci penalizzano. Le procedure di frontiera accelerate e la previsione di hotspot lungo le frontiere esterne non potranno che aumentare le domande di asilo di cui l’Italia e non altri si dovrà occupare. A questo si somma la cosiddetta solidarietà obbligatoria, che in nessun caso obbliga gli altri Paesi Ue a prendersi parte dei migranti arrivati in Italia: la ricollocazione è assolutamente volontaria, se non li vuoi basta pagare 20mila euro per ogni migrante che non si intende accogliere, con in più l’assicurazione che la competenza a valutare le domande d’asilo resta in capo ai Paesi di primo ingresso come il nostro.

E allora di cosa si sono lamentati Orban e Morawiecki tanto da impedire al Consiglio europeo di tirare le somme sull’immigrazione? Intanto contestano la forma dell’accordo del 9 giungo: nel 2018 il Consiglio Ue aveva stabilito che il Patto immigrazione e asilo andava adottato per consenso mentre il recente compromesso è stato approvato a maggioranza qualificata. E poi, a beneficio delle loro opinioni pubbliche, preferiscono chiamare “multe” quella che gli altri chiamano “solidarietà obbligatoria”. Ecco perché dire di no alla Meloni: Polonia e Ungheria possono continuare a sostenere che l’Europa è brutta e cattiva e vuole obbligarli a occuparsi dei migranti. Non solo: allo stesso tempo gli altri Stati possono continuare a prendere le distanze da Orban e Morawiecki, che sono intransigenti mentre loro sono buoni e solidali anche se si sono ben guardati da autoimporsi l’obbligo di accogliere anche un solo rifugiato.

Resta da capire, di fronte a tanta generosità, di cosa sia tanto soddisfatto il governo italiano. Per evitare che i Paesi di primo ingresso, oggettivamente penalizzati, si lamentassero troppo, gli altri Stati hanno iniziato a guardare con sempre maggiore favore alle soluzioni “innovative” proposte da alcuni di loro. Si tratterebbe di delegare a Stati extra Ue la gestione delle domande di protezione rivolte all’Europa. Ma la soluzione non è gradita a tutti e al momento si tratta solo dei desiderata dei governi più a destra. Ma anche la più semplice collaborazione coi Paesi terzi perché blocchino transiti e partenze non è scontata. Alla base di quella che al nostro governo piace chiamare “dimensione esterna” c’è in realtà una montagna di soldi che l’Unione dovrebbe investire per evitare che i migranti raggiungano i nostri confini. Va chiarita una cosa: se la strategia, come già accaduto in passato, non dovesse funzionare, per i Paesi solidali come per gli intransigenti non cambia nulla. Lo ha detto anche Meloni dopo il fallito tentativo di mediazione: “La loro priorità non è la dimensione esterna”. Al contrario, per l’Italia col cerino in mano il problema diventerebbe anche politico: se sfuma anche l’ultima strategia, cosa dirà chi prometteva di bloccare gli arrivi e adesso parla di bloccare le partenze mentre il centro di Lampedusa scoppia?

Insomma, un altro Consiglio Ue concluso col solito gioco delle parti. Unico fuoriprogramma, la paradossale mediazione con due di picche finale tra Meloni e gli amici Orban e Morawiecki. E’ la legge del contrappasso, con Meloni vittima di quella che in Germania chiamano “salvinisierung“, la “salvinizzazione delle politiche di asilo”. In altre parole, a dire che l’Italia si deve arrangiare è il tanto amato sovranismo. La vendetta è un piatto freddo e in Europa più di qualcuno starà sorridendo. Poco male, diranno a Bruxelles. Tanto il lavoro sul Patto immigrazione e asilo continua, sempre a partire dall’accordo del 9 giugno poi finito sul tavolo dei triloghi con Commissione, Consiglio e Parlamento a confronto sul testo. In attesa di vedere cosa approverà il Parlamento europeo e se farà in tempo, anche nella “dimensione esterna” le cose non vanno benissimo. Nonostante i viaggi della premier, anche in compagnia di Ursula Von der Leyen e del premier olandese Mark Rutte, del famoso memorandum con la Tunisia ancora non c’è traccia. Avrebbe dovuto essere pronto prima di questo Consiglio europeo, ma le visite a Tunisi del commissario Ue per l’Allargamento, Oliver Varhelyi, continuano ad essere rinviate una dopo l’altra. Del resto Paesi come la Germania non vedono di buon occhio l’assegno in bianco promesso al presidente tunisino Kais Saied, non senza che si sblocchi la questione del programma di salvataggio da 1,75 miliardi di dollari che Tunisi non accetta di sottoscrivere alle condizioni del Fondo Monetario Internazionale, a partire dalla soppressione di una serie di sussidi statali. Se e quando sarà firmato, poi, con tutta probabilità i flussi si sposteranno verso le coste libiche, forse anche dalla stessa Tunisia. Dopo il Consiglio europeo il bilancio rimane magro: “Continuerò a lavorare per una mediazione tra Polonia, Ungheria e gli altri 25, ma sarà più difficile”, ha detto Meloni annunciando che il 5 giugno sarà a Varsavia. Il resto lo dice Matteo Salvini: “Con tutti questi sbarchi sarà un’estate difficile”.

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