“Vogliamo ridare una motivazione ideologica per riportare la gente a votare. Un’idea di voto! È per questo che siamo anche qui a Sambuca di Sicilia. E ci proponiamo con candidati giovani e con tante donne”. Parola di Totò Cuffaro, che con questo slancio ideale accompagnava un post su Instagram dell’11 maggio scorso. Una serie di foto e video mentre si trovava a Sambuca durante la campagna elettorale per le comunali. Una turno elettorale segnato dal ritorno al passato: sia la Dc di Cuffaro che il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo sono tornati a vittorie elettorali di peso. A segnare il ritorno indietro nel tempo ci sono anche quelle immagini di Sambuca pubblicate sui social: nel gruppo arrivato a sostenere Cuffaro, infatti, c’era anche Domenico Miceli, condannato per concorso esterno a Cosa nostra nella stessa vicenda che ha portato l’ex governatore in carcere per favoreggiamento alla mafia.

Medico endoscopista, ex assessore alla Sanità del comune di Palermo, pupillo di Cuffaro e astro nascente dell’Udc siciliana nei primi anni Duemila, Miceli è uno dei personaggi che fanno finire nei guai l’ex governatore. Secondo la procura di Palermo era il trait d’union tra lo stesso Cuffaro e Giuseppe Guttadauro, anche lui medico ma allo stesso tempo pure capomafia: guidava, infatti, il mandamento di Brancaccio. L’inchiesta è quella sulle “talpe alla Dda” e nasce dalle cimici nascoste in casa di Guttadauro all’inizio del 2001, alla vigilia delle elezioni regionali siciliane. “L’unico che può fottere Orlando alla presidenza della Regione è Totò Cuffaro, io lo conosco bene”, diceva il boss l’1 febbraio del 2001, ricevendo nel suo salotto Miceli. Che rispondeva: “Lui mi invità a candidarmi e io ci dissi: senti Totò, queste cose non si possono fare così. Quando tu avrai la serenità per potere decidere ci sediamo e discutiamo seriamente. Non è che io ho l’obbligo di fare una cosa, io la posso fare se c’è un ragionamento”. Guttadauro era d’accordo e argomentava: “A me mi basta avere il rapporto tramite te, se tu lo permetti e lo permette lui. Se lui ti dà delle garanzie, il rapporto si chiude qua”.

Quattro mesi dopo, il 15 giugno del 2001, le cimici piazzate nel salotto di Guttadauro vengono scoperte dal medico-mafioso. L’ultima frase registrata è: “Allora ragione aveva Totò“. Un virgolettato che sarà tra gli elementi principali dei vari processi nati da quell’inchiesta. Secondo la procura di Palermo ad avvertire Guttadauro delle cimici era stato Salvatore Aragona, l’ennesimo medico condannato per mafia di questa storia, che a sua volta era stato informato da Miceli. L’ex assessore alla Sanità, invece, aveva ricevuto la soffiata da Cuffaro. Miceli ha ammesso di avere incontrato Guttadauro, sostenendo di averlo fatto solo perché si trattava di un collega medico: non era a conoscenza del suo calibro mafioso, nonostante all’epoca il boss di Brancaccio fosse già stato condannato persino al Maxiprocesso di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Per questi fatti Miceli è stato condannato a 6 anni e mezzo per concorso esterno. Nel 2012, dopo la pronuncia della Cassazione, si era costituito a Rebibbia, lo stesso carcere dove all’epoca era detenuto Cuffaro, condannato a sette anni per favoreggiamento a Cosa nostra. Poi, nel 2014, Miceli aveva ottenuto l’affidamento in prova ai servizi sociali, che invece era stato negato a Cuffaro. L’ex governatore era stato scarcerato per fine pena alla fine dell’anno successivo: dopo una breve pausa (di recente ha anche incassato la riabilitazione) è tornato a occuparsi di politica rilanciando la Democrazia cristiana. Un partito evidentemente appoggiato anche da Miceli, che è originario di Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento, dove la sua famiglia ha una lunga tradizione politica. Proprio nel piccolo centro nella valle del Belice, l’ex delfino di Cuffaro è ricomparso al fianco dell’ex presidente della Regione. Una vicinanza legittima dal momento che non esistono misure che impediscano la frequentazione dei due pregiudicati. Entrambi, tra l’altro, hann finito di scontare la pena, come sottolinea lo stesso Cuffaro: “Ho partecipato a un incontro pubblico con 200 persone, nella locale sezione della Dc di Sambuca, dove ho parlato dei valori della Dc a cominciare da quelli della legalità. In quell’incontro c’era tra il pubblico anche il dottore Miceli, che ho cordialmente salutato, un normale saluto tra persone che hanno pagato il loro debito con la giustizia e che si trovano a partecipare a incontri pubblici”. Per l’ex governatore non c’è alcun problema di opportunità: “Rimango basito quando gli altri pongono il problema alla mia partecipazione pubblica, posso mai essere io a porre il problema alla partecipazione pubblica di altri?”.

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