Un liceo del made in Italy, una giornata nazionale del made in Italy, un fondo sovrano per supportare la crescita delle aziende made in Italy. Non potendo imporre l’autarchia, al governo hanno deciso di puntare tutto sulle locuzioni identitarie. Dopo il caso delle denominazioni dei ministeri – solo per fare un esempio, il dicastero dello Sviluppo economico è diventato quello delle Imprese e del Made in Italy – ecco che arriva il primo ddl. Sarà discusso in Cdm la prossima settimana e per il momento la bozza è composta da 20 pagine e 47 articoli. Il disegno di legge porta con lo stesso nome del ministero guidato da Adolfo Urso: ddl made in Italy. E pazienza se si tratta di una locuzione in inglese.

Il liceo e la giornata del made in Italy – Il provvedimento introduce un liceo del made in Italy “promuovere, nell’ottica dell’allineamento tra domanda e offerta di lavoro, le conoscenze, le abilità e le competenze connesse al Made in Italy“. A partire dall’anno scolastico 2024/2025 l’opzione economico sociale del liceo delle scienze umane confluirà nel nuovo percorso liceale: nel ddl si precisa che resta ferma, per le classi successive alla prima, “la prosecuzione ad esaurimento dell’opzione economico sociale. Il governo intende anche istituire la Giornata nazionale del Made in Italy, il 15 aprile, per “celebrare la creatività e l’eccellenza italiana“. La giornata non è assimilata alle feste nazionali e per celebrarla Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni possono promuovere “iniziative per la promozione della creatività e la difesa e valorizzazione del Made in Italy”.

Il bollino per i ristoranti – La bozza preliminare prevede inoltre la creazione di una sorta di bollino da assegnare ai ristoranti italiani autentici sparsi per il mondo. “Al fine di valorizzare e sostenere gli esercizi di ristorazione che offrono all’estero prodotti enogastronomici effettivamente conformi alle migliori tradizioni italiane all’estero e di contrastare l’utilizzo speculativo dell’italian sounding, – si legge – i ristoratori situati all’estero possono chiedere la certificazione distintiva di ristorante italiano nel mondo“. Ma per essere un ristorante made in Italy occorre essere gestito da italiani, da eredi di emigrati italiani, o basta acquistare la mozzarella di bufala nei caseifici di Caserta? Nella bozza si spiega che la certificazione “è rilasciata, su istanza del ristoratore, da un ente certificatore accreditato presso l’organismo unico di accreditamento nazionale italiano, sulla base di una tariffa approvata e di un disciplinare adottato con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Masaf che individua i requisiti e le specifiche per il rilascio della certificazione stessa, con particolare riferimento all’utilizzo di ingredienti di qualità e di prodotti appartenenti alla tradizione enogastronomica italiana, a denominazione di origine protetta, a indicazione geografica protetta, a denominazione di origine controllata, a denominazione di origine controllata e garantita e a indicazione geografica tipica”.

La Nuova Sabatini – Il ddl made in Italy istituisce poi un fondo sovrano per supportare la crescita e il consolidamento delle filiere strategiche nazionali, anche nell’approvvigionamento di materie prime. In pratica si autorizza il Mef ad investire, a condizioni di mercato, nel capitale di imprese nazionali. L’investimento è realizzato tramite l’acquisto o la sottoscrizione di azioni o altri strumenti finanziari dei veicoli societari o fondi di investimento o attraverso altri strumenti di coinvestimento, per un “importo massimo” nella bozza non ancora definito. La bozza poi stanzia nuove risorse per rifinanziare la Nuova Sabatini, l’incentivo per facilitare l’accesso al credito delle imprese per investimenti in beni strumentali: viene autorizzata la spesa di ulteriori 274 milioni per il 2023 per “assicurare continuità alle misure di sostegno agli investimenti produttivi delle micro, piccole e medie imprese attuate e far fronte alle difficoltà connesse al progressivo incremento dei tassi di interesse”.

I fondi per l’imprenditoria femminile – Risorse in arrivo anche per l’imprenditorialità femminile: per rafforzare il sostegno alle iniziative di autoimprenditorialità promosse da donne e allo sviluppo di nuove imprese femminili su tutto il territorio nazionale, il ddl istituisce “un’apposita riserva, per un importo di 15 milioni, destinata al finanziamento degli interventi rivolti alle imprese a prevalente partecipazione femminile“. Sono previste inoltre anche misure di incentivazione della proprietà industriale, dal 2024 il Voucher 3i, l’incentivo per le startup innovative che finanzia l’acquisto di servizi di consulenza per la brevettazione, viene “esteso alle micro imprese costituite da non oltre cinque anni”. Gli oneri sono fissati “nella misura massima di 15 milioni per anno“.

Pensionati assunti come tutor – Il decreto prevede inoltre di assumere lavoratori pensionati per fare da tutor ai giovani. La misura viene descritta come “trasferimento generazionale delle competenze”: per “favorire il passaggio di competenze e di abilità tra generazioni”, si prevede che i datori di lavoro privati con un numero di dipendenti non inferiore a 50 unità, possano stipulare “tra il 1 gennaio 2024 e il 31 dicembre 2024”, un contratto della “durata massima di 24 mesi” con un lavoratore andato in pensione da non oltre due anni, che si “impegna a svolgere, presso l’azienda, attività di tutoraggio, per un massimo di 60 ore mensili, in favore di giovani, di età inferiore a 30 anni, assunti, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”. Il limite di età è di 35 anni se sono laureati. Il contratto di tutoraggio “non si configura come un rapporto di lavoro dipendente” e viene escluso dall’applicazione delle “disposizioni sul licenziamento” dell’articolo 18. Inoltre la remunerazione corrisposta al pensionato “non concorre alla formazione di reddito ai fini Irpef e non è assoggettato a contribuzione previdenziale, sino ad una soglia massima percepita” che nella bozza – ma la cifra è ancora sottoposta a verifica – è al momento indicata in 15.000 euro l’anno. Ai datori di lavoro viene riconosciuto, per tutto il periodo di tutoraggio, l’esonero dal versamento del 100% dei complessivi contributi previdenziali a suo carico, dovuti per i dipendenti neo-assunti coinvolti nell’attività di tutoraggio. Nel caso di licenziamento del lavoratore, nei 12 mesi successivi alla conclusione del periodo di tutoraggio, il datore di lavoro è tenuto alla restituzione dell’incentivo fruito.