Chiudere i conti. Serve anche a quello lo scudetto del Napoli, il terzo, atteso da 33 anni passando per la fine dell’epoca maradoniana, il fallimento, la serie C e 19 anni di gestione De Laurentiis. Uno scudetto che serve a chiudere i conti in una gestione che i conti, quelli veri fatti di numeri e soldi, li ha messi sempre al primo posto e (anche) per questo in 19 anni aveva aperto un fronte, rendendolo via via sempre più acceso, quello appunto del “noi vogliamo vincere”. Sì perché se De Laurentiis ha sbandierato più volte negli anni lo “scudetto del bilancio”, il tifoso comprensibilmente preferisce mettere in scena quello spettacolo meraviglioso che si è visto tra Piazza Plebiscito, lungomare e Largo Maradona bandiera alla mano piuttosto che foglio Excel. E il “noi vogliamo vincere” si trasforma in “De Laurentiis non vuole vincere”. E se poi negli anni capita che si diventa campioni d’inverno e nelle sessioni di mercato di gennaio non arrivino sforzi tali da far pensare a una società pronta a fare tutto il possibile per il tricolore ecco create distanze siderali.

Talmente ampie da arrivare alle ben note contestazioni con numerosi striscioni che sono comparsi dopo le delusioni in città, le critiche feroci dopo che il patron ha acquistato un’altra squadra del sud, il Bari, che ha portato a coniare lo slogan “A16”: un invito a percorrere in senso letterale l’autostrada che porta da Napoli a Bari (per la verità a Canosa), appunto l’Autostrada 16 detta “dei due mari”. E infatti l’ultima, quella che ha preceduto lo scudetto, potrebbe essere ribattezzata “l’estate degli A16”: con l’addio ai big, da Insigne a Ospina a Fabian Ruiz a Koulibaly e soprattutto a Mertens, vissuto come una profonda smobilitazione. Con le operazioni di mercato dal mancato acquisto ad effetto, sostanziato in Dybala finito alla Roma, agli arrivi “anonimi” di Kvaratskhelia e Kim, col coreano parodiato per l’omonima marca di sigarette, considerate un ridimensionamento delle ambizioni azzurre.

Tutt’altro che idilliaco infatti il ritiro di Dimaro: De Laurentiis solitamente padrone di casa debordante si è concesso una fugace apparizione in Trentino, peraltro entrando in albergo da un ingresso secondario e senza dire una parola, con la squadra che assisteva in piazza a bordate di fischi quando il sindaco citava Adl e con Spalletti costretto a fare da pompiere: “Abbiate pazienza, dateci tempo”. Si è aperta così la stagione del Napoli: se negli anni precedenti, da quando il Napoli ha alzato i giri con l’arrivo di Benitez alla grande bellezza sarrista all’evidente messaggio lanciato con l’ingaggio di Ancelotti, l’entusiasmo era alle stelle e la convinzione di potersela giocare per il titolo più o meno forte, ad agosto 2022 in pochissimi avrebbero pronosticato un Napoli in competizione per lo scudetto. Lo stesso Spalletti da Dimaro parlava di “stagione in cui sarà difficile confermare la qualificazione in Champions”. Quello che poi ha fatto il Napoli sul rettangolo verde, da Kvaratskhelia che già alla seconda giornata aveva fatto capire di essere un fenomeno a Kim che dagli striscioni ironici aveva sostituito Andrè Cruz in uno dei cori dei tifosi è storia. Diverso il tema dei rapporti però.

Le magie di Kvara e Osimhen non hanno cambiato né sanato la spaccatura tra De Laurentiis e la tifoseria, che anzi, si era acuita solo a marzo per la questione dell’accesso di tamburi e bandiere, coi tifosi a intonare cori contro e Adl, che da questo punto di vista non si è mai fatto pregare, a rispondere per le rime. Poi un incontro chiarificatore e lo scudetto che ha portato anche agli striscioni di ringraziamento della Curva B per “il presidente più pazzo del mondo” che “C’era al tribunale fallimentare” e De Laurentiis che alla festa scudetto ringrazia le curve. Ma chiaramente il tutto non si può racchiudere alla distensione tra De Laurentiis e il tifo organizzato: c’è altro. Ci sono 19 anni in cui ad Adl, da buona parte della tifoseria e non solo dai gruppi, è stata contestata l’eccessiva attenzione ai conti e la scarsa napoletanità, tant’è che uno degli appellativi riservato al patron è “il Romano”, e poi le intemerate verbali, col nucleo centrale tuttavia rappresentato dalla vacatio di vittorie: un’ossessione per i tifosi, indignati che quell’ossessione non fosse condivisa da De Laurentiis. Lo Scudetto chiude i conti in questo senso: De Laurentiis ha vinto, ha vinto alla sua maniera facendo il De Laurentiis, rinunciando ai nomi e puntando sui giovani, mettendo un punto alla presunta non condivisione del “noi vogliamo vincere”. Che poi la vittoria l’abbia ingolosito, con il “vincere, vincere, vincere” dichiarato alla festa scudetto dove ha rilanciato addirittura l’obiettivo Champions è improbabile. Difficile infatti pensare a un De Laurentiis che a 73 anni e dopo 19 anni deroghi da se stesso, ad esempio andando davvero a riprendersi a suon di milioni un ultratrentenne Cavani piuttosto che considerare se stesso “il vostro Cavani”. Difficile pensare anche a un De Laurentiis conciliante e che alle sue classiche intemerate sostituisca un’affabilità piaciona. Ha vinto facendo il De Laurentiis e De Laurentiis resterà, giustamente: chiudendo i conti, sempre in utile, come piace a lui.

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