Il nuovo Reddito di cittadinanza, che dal 2024 si chiamerà Assegno di inclusione, andrà solo alle famiglie povere con almeno un minore, un disabile o una persona over 60. Lo ha stabilito una volta per tutte il consiglio dei ministri tenutosi il primo maggio, che ha approvato l’ultima bozza del decreto lavoro. In attesa del testo definitivo, dopo le tante bozze circolate in questi mesi sembra ormai chiaro che il governo intenda limitare il nuovo sussidio ai soli nuclei in cui sono presenti persone “fragili”, con un Isee inferiore a 9.300 euro e un reddito familiare sotto i 6mila euro. L’importo base è di 500 euro mensili, oltre al contributo per l’affitto, erogabile per 18 mesi e rinnovabile una sola volta per ulteriori 12 mesi. Gli altri poveri, quelli che non fanno parte di questi nuclei e hanno tra i 18 e i 59 anni, non riceveranno la nuova misura di contrasto alla povertà. Perché sono considerati occupabili e in quanto tali possono beneficiare solo di un’indennità di partecipazione ai programmi formativi offerti dalle politiche attive chiamata Strumento di attivazione (Sda). “Per un massimo di dodici mensilità (non rinnovabili, ndr), gli interessati riceveranno un beneficio economico pari a 350 euro mensili”, ha deciso il governo.

“Per i soggetti occupabili, cioè coloro che hanno una età compresa tra i 18 e i 59 anni e non rientrano tra le categorie individuate come “fragili”, – si legge nel comunicato del governo – è prevista la decadenza dal beneficio nel caso di rifiuto di una offerta di lavoro a tempo pieno o parziale, non inferiore al 60 per cento dell’orario a tempo pieno e con una retribuzione non inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi”. Nel caso di un’offerta a tempo determinato, anche in somministrazione, l’offerta è vincolante se il luogo di lavoro non dista più di 80 chilometri dal domicilio. Se invece l’offerta è a tempo indeterminato si considera vincolante su tutto il territorio nazionale. Un bel problema per chi dovesse ritrovarsi a valutare un’offerta al minimo salariale che lo porta a centinaia di chilometri da casa, dovendo sicuramente affrontare spese d’affitto, trasporti e quant’altro. Una persona sotto la soglia di povertà, “occupabile” secondo le nuove regole del governo Meloni, che vive in Sicilia o in Campania, le due regioni che da sole contano la metà dei percettori di Reddito di cittadinanza, sarà in grado di accettare un impiego in una grande città del Nord? In un Paese dove i cosiddetti working poor sono quasi il 25% dell’intera forza lavoro, se il povero in questione dovesse accettare l’offerta, con tutta probabilità continuerà ad essere povero.

Ma tra gli occupabili c’è anche chi ha figli, disabili in famiglia o persone anziane. Nell’ultima bozza di decreto circolata, l’articolo 6 prevede che sono esclusi dagli obblighi previsti per gli occupabili “i componenti con carichi di cura, valutati con riferimento alla presenza di soggetti minori di tre anni di età, di tre o più figli minori di età, ovvero di componenti il nucleo familiare con disabilità grave o non autosufficienza come indicati nell’allegato 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013″. Tutti gli altri sono occupabili. Facciamo un esempio: la madre di due figli di 4 e 5 anni che vive a Trapani dovrà accettare un’offerta a tempo indeterminato a Milano purché la retribuzione non sia inferiore ai minimi salariali. Altrimenti perderà l’Assegno di inclusione che mantiene la sua famiglia. L’articolo 9 dell’ultima bozza di decreto è chiaro: “Il componente del nucleo familiare beneficiario dell’Assegno di inclusione attivabile al lavoro è tenuto ad accettare un’offerta di lavoro senza limiti di distanza, nell’ambito del territorio nazionale, se si riferisce ad un contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato”.

In attesa di vedere quanti contratti a tempo indeterminato verranno offerti alle persone povere che il governo considera “occupabili” in base a un criterio anagrafico che già da tempo fa discutere, toccherà valutare l’efficacia delle politiche attive promesse loro dal nuovo decreto. Ricordiamo che da quest’anno i percettori “occupabili” del Rdc lo possono ricevere per un massimo di 7 mesi e senza la possibilità di rinnovarlo. Se ancora in condizioni di povertà assoluta, con un valore dell’Isee familiare non superiore ai 6.000 euro annui, dal primo settembre di quest’anno potranno richiedere lo “Strumento di attivazione” da 350 euro al mese. Ma per riceverlo dovranno essere inseriti in uno dei “progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive”, in cui rientrano anche il servizio civile universale, i lavori socialmente utili e i progetti utili alla collettività. E portarsi a casa i 350 euro mensili di Sda sembra già di per sé un lavoro.

La richiesta va inoltrata per via telematica e il percorso di attivazione viene attuato mediante una piattaforma. “Nella richiesta, l’interessato è tenuto a rilasciare la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro”, si legge. Dopo il “patto di attivazione digitale”, il richiedente è convocato presso il servizio per il lavoro per la stipula del “patto di servizio personalizzato“. Ma per firmarlo dovrà dimostrare “con idonea documentazione, di essersi rivolto ad almeno tre agenzie per il lavoro o enti autorizzati all’attività di intermediazione”. A questo punto, sempre attraverso la citata piattaforma, “l’interessato può ricevere offerte di lavoro ovvero essere inserito in specifici progetti di formazione erogati da soggetti, pubblici o privati, accreditati alla formazione dai sistemi regionali, da fondi paritetici interprofessionali e da enti bilaterali”. Si tratta di inserire centinaia di migliaia di persone in altrettanti percorsi di formazione, quelli previsti dal programma Garanzia occupabilità di lavoratori legato ai fondi del Pnrr, che in molte regioni stanno partendo ma in tante altre, in particolare al Sud, faticano a partire e non è chiaro quale sarà l’offerta e se riuscirà a soddisfare la richiesta. Non un dettaglio, visto che il decreto approvato dal governo conferma che l’erogazione dei 350 euro è prevista solo “durante” la partecipazione ai corsi. Nel frattempo, al cosiddetto “occupabile” in povertà assoluta l’Italia non dà nulla.

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