Tanta la fretta di mandare in pensione l’odiato Reddito di cittadinanza che rischiavamo di perdere i fondi del Pnrr. E alla fine il governo ha dovuto rivedere gli impegni presi nell’ultima legge di bilancio. La capriola all’indietro è nelle bozze del decreto che riformerà la materia, che si rincorrono moltiplicando gli acronimi: nel 2024 il Reddito si chiamerà Gil, ma già da quest’anno arriva Pal, e poi sarà il turno di Gal e chi più ne ha, più ne metta. Ma andiamo con ordine e riavvolgiamo il nastro. Dopo aver ridefinito la platea dei beneficiari “occupabili”, il governo ha ridotto per loro la durata massima del sussidio da 18 a 7 mesi e, sempre nella manovra varata a dicembre, ha obbligato gli occupabili a “sei mesi” di formazione, pena la perdita del sussidio (art. 1, comma 315, legge 29 dicembre 2022/197). Insomma, i nuovi percettori del Reddito, quelli entrati nella misura a gennaio 2023, ad agosto non lo prenderanno più. Tanto, assicurava la ministra del Lavoro Marina Calderone, “un beneficiario di Reddito, con determinate caratteristiche e con 160 ore di formazione mirata e orientata alle esigenze delle imprese, dopo 3-4 settimane può uscire dal sussidio”. Peccato che siamo quasi a maggio e in molte Regioni i corsi non siano ancora partiti. In particolare al Sud, dove risiede la maggior parte dei percettori di Rdc, ma non solo. La conferma arriva dagli enti di formazione:”Alcune regioni non hanno ancora preparato il bando per l’offerta formativa”, spiega Paola Vacchina, presidente di Forma, una delle principali associazioni nazionali degli enti di formazione professionale. E se i percettori perdono il sussidio prima di frequentare i corsi, l’Italia rischia di perdere una fetta di Pnrr.

La formazione promessa dal governo Cosa aveva in mente l’esecutivo con i 6 mesi obbligatori di formazione? In realtà, nulla di nuovo. I corsi erano quelli già previsti dal programma Garanzia di occupabilità dei lavoratori (Gol), finanziato dal Pnrr con 4,4 miliardi a patto di mettere assieme 3 milioni di beneficiari e di coinvolgere 800 mila persone in attività di formazione entro il 2025. A che punto stavano le Regioni quando il governo inseriva l’obbligo nella manovra? Chi più, chi meno, alla profilazione delle persone, che al 31 gennaio 2023 saranno 827 mila (dati Anpal). Di queste, il 23,6 per cento sono percettori di Rdc e il 90 per cento di loro necessita di formazione o addirittura di percorsi di inclusione. A fine gennaio, dunque, i beneficiari di Rdc inseriti in Gol erano 200 mila, meno della metà degli “occupabili” che la manovra di dicembre individua nelle persone tra 18 e 59 anni appartenenti a nuclei senza minori, senza componenti over 60 né disabili. E che, secondo le nuove disposizioni, perderanno il sussidio il prossimo agosto. Il governo conosceva i dati e non poteva non sapere che la maggior parte dei percettori occupabili non era ancora stata profilata e soprattutto che, nella maggior parte delle Regioni, i corsi di formazione erano ancora lontani.

A che punto siamo con i corsi di Gol? “Al Nord le cose vanno meglio, mentre in altre Regioni le attività di formazione non sono proprio partite”, spiega Arcangela Soprano di Enaip, ente di formazione presente in dieci regioni. “Attualmente i centri per l’impiego del Lazio stanno richiamando gli utenti per scegliere l’ente presso il quale svolgere il tipo di corso selezionato – continua –, in Campania si parte solo ora e in Sicilia ancora attendiamo la delibera regionale che approva l’offerta formativa presentata dagli enti”. Bene ricordare che, secondo l’Anpal, in Calabria, Campania e Sicilia, dove finisce più della metà del Rdc, le persone considerate davvero occupabili, i cosiddetti work-ready, non superano il 3% dei percettori. “Ma anche in Liguria non siamo ancora partiti e così in Sardegna, per non parlare della Puglia o del Molise dove ancora attendiamo il bando regionale per presentare i cataloghi dei corsi”, riferisce suor Manuela Robazza, presidente nazionale di CIOFS-FP, il Centro Italiano Opere Femminili Salesiane oggi presente in 12 regioni. Insomma, parte dei percettori obbligati alla formazione rischiano di perdere il sussidio prima ancora che inizino i corsi. Di più: una volta perso il Reddito decadrà anche la condizionalità che li obbliga all’inserimento in Gol e alla formazione. Un bel problema, visto che i target legati al Pnrr pretendono in particolare il coinvolgimento di disoccupati di lunga durata, giovani under 30 e lavoratori over 55.

Il governo fa marcia indietro Bisogna evitare che 500 mila percettori “occupabili” escano dalla misura prima ancora di essere stati coinvolti in una attività di formazione. In altri termini, bisogna centrare il target e portare a casa i fondi del Pnrr. Poco importa se tocca rimangiarsi una serie di promesse elettorali, mantenute in legge di bilancio e già riviste pochi mesi dopo. Basta leggere le bozze dello ‘Schema di decreto legge in materia di lavoro‘ che circolano da qualche giorno. Che riscrivono i commi della manovra e cancellano i “sei mesi” di formazione obbligatoria. E’ l’ammissione che quello di dicembre era un azzardo: l’alibi di fronte a un sussidio che veniva ridotto a soli 7 mesi. Ma nemmeno questo è più vero. I beneficiari del Rdc “che, al momento della scadenza del periodo massimo di sette mesi di fruizione hanno sottoscritto il patto per il lavoro e sono inseriti in misure di politica attiva del lavoro” – dice l’articolo 12 dell’ultima bozza – riceveranno PAL. Che non è la marca di un famoso cibo per cani, ma la nuova “prestazione di accompagnamento al lavoro” da 350 euro al mese per ciascun richiedente che sostituisce il Rdc fino al 31 dicembre 2023. Insomma, con buona pace di chi li chiamava “fannulloni”, anche gli “occupabili” continueranno a ricevere il sussidio per l’intero anno e finché, col primo gennaio 2024, il Reddito verrà definitivamente sostituito dalla Gil, la Garanzia per l’inclusione e da Gal, la Garanzia per l’attivazione lavorativa destinata alle persone in povertà potenzialmente in grado di trovare un lavoro.

Ma non è ancora Gol Che la PAL sia un modo per non far scappare le persone da Gol lo pensa anche la presidente di Forma, Paola Vacchina: “La partenza di questa nuova misura è l’occasione per avere tutte le regioni pronte“, commenta guardando positivamente alla novità che emerge dalle bozze di decreto. Perché, come tengono a precisare anche Enaip e CIOFS-FP, “Gol è una grandissima occasione, la prima riforma nazionale seria e finanziata delle politiche del lavoro che finalmente prevede la formazione oltre ai servizi per il lavoro”, spiega la presidente di Forma. “Ma adesso serve accelerare, perché in alcune Regioni non sappiamo ancora se la nostra offerta va bene, chi ci manda gli allievi, come si iscrivono le persone, quando”. “Le iscrizioni arrivano senza un ordine preciso, magari si iscrive una persona per ogni corso e finché non c’è il numero minimo non si parte”, aggiunge Soprano di Enaip. “Così è difficile programmare, impossibile fare pianificazione“. La presidente di CIOFS-FP Robazza ricorda che i centri per l’impiego sono ancora sottodimensionati, e rilancia la proposta degli enti di “essere coinvolti anche nella fase di orientamento e fin dall’incontro con i beneficiari“, rilevando “troppa rigidità nella possibilità di cambiare percorso nel momento in cui ci si rende conto che la persona andava inserita in un altro percorso”. Non ultimo, gli enti ricordano la promessa di rivedere le Unità di costo standard previste per i corsi. “Davvero basse – spiega Robazza – a marzo ci è stato detto che ci sarebbe stato un adeguamento che finora non c’è stato”. Insomma, anche al netto di percettori di Reddito, Pal o Gal, la partita non è vinta e il rischio di centrare gli obiettivi della formazione solo sulla carta rimane, magari iscrivendo le persone a corsi che poi non frequentano o peggio, come dice la stessa ministra Calderone, “che le avviano a lavori che non ci sono”. “Il tempo c’è, anche per correggere e migliorare quanto previsto finora e perché le Regioni più arretrate si mettano in pari prendendo esempio da quelle più virtuose – conclude Vacchina – ma bisogna lavorare per una formazione di qualità, riconoscere che i corsi professionalizzanti che servono al Paese costano, fare controlli e verificare chi lavora male e chi invece è in grado anche di attivare il raccordo con le imprese e il territorio”.

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